Elkann: “Io, l’Avvocato, mia madre e la Juve”

Massimo Giannini

Il 24 gennaio del 2003 se ne andava Gianni Agnelli. Poche altre figure, nella Storia del Paese, hanno lasciato un’impronta così profonda sul secolo che abbiamo alle spalle. E poche altre hanno indicato una rotta al secolo nuovo che stiamo vivendo. «Quando me ne sarò andato, la crescita e il consolidamento di tutto ciò che è stato costruito, alla fine dipenderà dalla qualità delle persone, e dal fatto che ci credano o no. Perché sono loro che dovranno affrontare il prossimo periodo di avversità. E sono loro il patrimonio della Fiat: i suoi uomini». Sono le parole che proprio l’Avvocato, poco prima del commiato, affidò al nipote John Elkann, cioè alla persona che aveva scelto per traghettare nel nuovo millennio la sua dinastia, la Fiat e tutte le attività del gruppo. E così, in questo anniversario, l’amministratore delegato di Exor, in un colloquio con La Stampa e con Ezio Mauro, già direttore di Repubblica, racconta il passato e soprattutto il futuro della più importante famiglia del capitalismo italiano. Elkann parla di tutto, dall’economia globale ai giornali, da Donald Trump a Giorgia Meloni, dal rilancio di Torino alle difficoltà della Juventus. E affronta anche il doloroso conflitto con sua madre Margherita Agnelli sull’eredità dell’Avvocato.

Tanti problemi, ma anche tante opportunità. «Proprio da mio nonno – dice – ho imparato che ciò che conta è andare avanti, non fermarsi. Il suo ottimismo nasceva dalla fiducia nell’individuo e nella sua libertà. Così, io penso che con la libertà e l’impegno si può costruire il futuro».

GLI AGNELLI, L’IMPEGNO E LA RESPONSABILITÀ
Nulla più dell’automobile è il simbolo del cambiamento. Dai consumi ai costumi, dalla fabbrica fordista all’elettrico. Trasformazioni affascinanti, ma spesso anche traumatiche. «Il vero insegnamento che il nonno ha trasmesso a tutti noi – dice Elkann – è l’invito ad affrontare le tempeste con coraggio e responsabilità, puntando sempre sullo sviluppo. Alla base di tutto c’è questo ingaggio responsabile dei singoli…». I passaggi cruciali sono stati soprattutto due. «Nel ‘45, appena finita la guerra, con la scomparsa del senatore Agnelli, tutto ciò in cui mio nonno aveva creduto è crollato. Lui, suo fratello, le sorelle e i cugini si trovarono davanti ad una scelta radicale: impegnarsi nell’azienda o tirarsi fuori. Con coraggio, scelsero l’impegno e continuarono, pilotando l’azienda in un forte cambiamento, mentre il Paese si risollevava e l’Europa rinasceva. Nel 2003 si ripropose un dilemma simile e la famiglia – sotto la guida di mio zio Umberto, che il nonno ha sempre considerato il suo successore naturale – decise un’altra volta di impegnarsi. Mio nonno direbbe che sono queste le scelte che contano di più, perché sono decisive in momenti cruciali».

L’EUROPA, L’AMERICA E UN DESTINO COMUNE
L’orizzonte della famiglia e del gruppo è il mondo globale, ma prima ancora è l’Occidente, i suoi valori, il suo comune destino. «Il nonno è sempre stato convinto che più l’Italia si integrava nell’Unione Europea, più si sarebbe rafforzata. Ed è esattamente quello che è accaduto. L’altra sua convinzione profonda era l’atlantismo, il rapporto con gli Stati Uniti: e se noi guardiamo agli effetti della guerra in Ucraina, proprio nelle zone in cui mio nonno era soldato, possiamo concludere che la Ue e l’Italia davanti all’invasione russa hanno rafforzato ancora di più i loro legami con Washington». Quello che Agnelli non poteva prevedere è Donald Trump, l’assalto a Capitol Hill e alla democrazia americana. «Lui era convinto che le istituzioni americane fossero comunque più forti degli individui. E i fatti lo hanno dimostrato: finora è stata proprio la forza di quelle istituzioni a impedire a chiunque di alterare o di spostare le fondamenta sulle quali quella grande nazione è stata costruita. E questa è la cosa più importante: la tenuta della democrazia».

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