Elkann: “Io, l’Avvocato, mia madre e la Juve”
LA “NUOVA ITALIA” DI GIORGIA MELONI
Se si parla
di svolte politiche, non si può non vedere che la più rilevante riguarda
proprio l’Italia, dove al governo è arrivata una leader della destra
radicale come Giorgia Meloni: «È il primo premier donna e ha una grande
opportunità: costruire un Pese più forte. Anche perché, proprio come in
America, le nostre istituzioni hanno tenuto, dal Quirinale in giù, e
possono diventare ancora più solide, insieme al Paese. Credo che le
decisioni essenziali prese in passato, come l’adesione al sistema
europeo, alla Nato, ai valori dell’Occidente, siano una grande
opportunità per l’Italia. Certo, va salvaguardata e valorizzata la
democrazia, che pur nel momento difficile che abbiamo attraversato – tra
pandemia, crisi economiche e geopolitiche – ha dimostrato una forte
resilienza».
IL LEGAME CON TORINO
Per l’Avvocato le cose che
contavano di più erano la Fiat, l’Italia e Torino. Ma la città-fabbrica
non c’è più. Cos’è diventata? «Torino ha investito su sé stessa, a
partire dai giochi olimpici del 2006. Quella è stata la svolta:
organizzazione perfetta, forte senso di orgoglio e di appartenenza. Su
quel successo la città ha investito, sulla sua identità, sul deposito di
storia che conserva, i musei, l’arte, lo sport con l’Atp che porta qui i
migliori tennisti del mondo. Ha acquistato fiducia, sulle sue capacità e
nella ricchezza del territorio che la circonda, dalle montagne alle
Langhe, con i vini piemontesi oggi considerati tra i più importanti al
mondo. E poi ci sono l’innovazione, l’industria aerospaziale e
l’energia, nel secolo in cui dovremo trovare fonti alternative. A Torino
è nata Newcleo, mini-reattori per la fissione nucleare di quarta
generazione. La missione, in fondo, è sempre la stessa: credere nel
futuro».
MIRAFIORI, STELLANTIS E LA MISSIONE CHE CONTINUA
Mirafiori
sta diventando il laboratorio di un cambiamento non solo produttivo, ma
anche urbano e socio-culturale. Durerà? «Abbiamo lavorato molto per
dargli un futuro, insieme al sindaco di Torino, Lo Russo, e al
presidente della Regione Piemonte, Cirio, che formano un connubio
efficace, perché guardando oltre alle differenze, sanno produrre
risultati durevoli per la città. Mirafiori oggi può contare da un lato
sullo sviluppo dell’auto elettrica, dall’altro sulle attività legate
all’economia circolare». Eppure c’è chi continua a sostenere che la
famiglia stia abbandonando Torino. «Parlano i fatti. Il piano di
investimenti di 5 miliardi per l’Italia è il più grande di tutta la
nostra storia e ha permesso a Mirafiori di essere uno stabilimento
d’avanguardia mondiale. Poi c’è il nuovo stadio della Juventus, che ha
riqualificato un’intera zona di Torino, lo sviluppo del Lingotto con la
Pinacoteca e i giardini pensili più grandi d’Europa, l’Industrial
Village di Iveco, la scuola Fermi al Lingotto. A ciò si aggiungono gli
investimenti nel medicale, con lo sviluppo di LifeNet, oltre al lavoro
fatto da mia zia Allegra con la Fondazione per la Ricerca sul cancro di
Candiolo. Se questo è disimpegno…».
FCA E LA “SVOLTA FRANCESE”
Guardando al futuro,
resta un dubbio ricorrente: a Torino resterà la memoria, mentre il cuore
sarà ad Amsterdam e il cervello finirà a Parigi? «Lascio rispondere i
numeri. Dal 2003 ad oggi i ricavi dell’auto passano da 22 a 130 miliardi
(dato che riguarda solo i primi nove mesi del 2022). I modelli crescono
da 22 a più di 100, i marchi da 4 a 14. Le persone che ci lavorano
erano 49 mila e ora sono 280 mila. Con Stellantis abbiamo valorizzato il
marchio Fiat: la 500 elettrica dal prossimo anno sbarcherà negli Usa.
Abbiamo rilanciato Maserati e Alfa, e stiamo rivalorizzando Lancia. E
oggi produciamo in Italia e vendiamo in tutto il mondo anche modelli di
grande successo di marchi non italiani come Jeep». La ricerca continua
di un partner internazionale era già chiara ai tempi dell’Avvocato:
«L’Avvocato ha sempre avuto la preoccupazione delle dimensioni della
Fiat. Diceva che fare automobili è un mestiere per giganti. Grazie prima
all’accordo Chrysler che ha portato alla nascita di FCA e poi
all’accordo con Peugeot, abbiamo dato vita a Stellantis, seguendo la
strada che mio nonno ha indicato nei trent’anni della sua presidenza».
CON STELLANTIS, NESSUNA VENDITA
Ma anche in
questo caso c’è chi obietta che Stellantis non è una fusione alla pari,
ma una vendita di Fiat ai francesi. «Non abbiamo venduto proprio niente:
abbiamo anzi comprato Chrysler per creare FCA. E poi ci siamo fusi con
PSA dando vita a un gruppo con una governance molto chiara: in
Stellantis io sono il presidente esecutivo e al nostro fianco c’è la
famiglia Peugeot a cui siamo legati da un accordo di consultazione.
Insieme sosteniamo il piano di sviluppo a lungo termine Dare Forward,
presentato dall’AD Carlos Tavares e dalla sua squadra. Come si fa a
parlare di vendita?». Quindi anche per Stellantis l’automobile resta il
core business? Elkann conferma: «Quando parliamo con Carlos di
Stellantis, conveniamo che ha le radici nell’800, ma in realtà è una
società giovane, avendo solo due anni di vita. Ha una grande storia, ma
anche tanto spirito di innovazione. Sul pavimento di una sala del museo
dell’auto a Torino è disegnata la mappa della costellazione di
costruttori italiani di automobili tra il 1898 e il 1908. È incredibile:
in tutto il Paese c’erano più di 100 aziende, e di queste ben 70 erano a
Torino. Oggi, nella nuova stagione della mobilità, abbiamo lo stesso
spirito di quei pionieri. Al recente CES di Las Vegas, Tavares ha
presentato, tra l’altro, un rivoluzionario pick up elettrico e ha
annunciato un investimento nelle auto volanti, che sono un incrocio tra
l’auto e l’elicottero. D’altra parte la macchina che vola in Blade
Runner è una Peugeot».
L’ECONOMIA E IL CAPITALISMO CHE CAMBIA
Questo,
per Elkann, è anche un messaggio forte sull’economia italiana, che sta
meglio di come viene raccontata: «Il sistema ha rivelato una forte
vitalità. Per il capitalismo familiare legato al territorio, che resta
grande parte del nostro tessuto economico, il ventennio è stato positivo
e ha generato nuove realtà made in Italy leader nel mondo. Eravamo
un’economia di fornitori di beni industriali e strumentali, mentre oggi
l’Italia sta emergendo anche a livello di prodotto finito. E qui ci
siamo anche noi, con il nostro impegno nell’innovazione e nella
tecnologia: Italian Tech Week, organizzata a Torino da Gedi, riunisce
ogni anno i più grandi imprenditori tech italiani e mondiali. E Vento,
lanciata da Exor, è il primo investitore in start up in Italia». Anche
in questa diversificazione, secondo Elkann, si segue la rotta tracciata
dal nonno: «Lui ha sempre difeso la capacità italiana di fare una
sintesi del bello e dell’utile, facendo leva su di un patrimonio storico
e artistico che non ha eguali. Nella sintesi di bellezza, creatività e
ingegno c’è la vera sostanza dell’eccellenza italiana, di cui la Ferrari
è un esempio. Dalla musica al design, dall’architettura all’arte,
abbiamo capacità che il mondo riconosce come tipicamente italiane e che
sono cresciute per esperienza, fama, dimensione».
LA JUVENTUS, CROCE E DELIZIA
Da sempre il
gioiello di famiglia, la Juventus di oggi farebbe soffrire molto
l’Avvocato. Le inchieste societarie, e ora anche la stangata della
giustizia sportiva, con la penalizzazione di 15 punti. Come vive John
Elkann questi tormenti calcistici ed extra-calcistici? «In questi 100
anni di vita insieme abbiamo avuto molte soddisfazioni e anche alcune
difficoltà. Il bilancio sul campo parla chiaro: negli ultimi 20 anni la
Juventus ha vinto 11 scudetti sul campo, 6 supercoppe italiane, 5 coppe
Italia, più i successi delle Women. Il titolo mondiale del 2006 e
l’europeo del 21 sono stati vinti da una Nazionale con forte dorsale
juventina. E con la vittoria quest’anno dell’Argentina la Juve è la
squadra con più giocatori che hanno conquistato un campionato del
mondo». Sì, ma come la mettiamo con la sentenza della corte sportiva di
venerdì scorso? «La Juventus è la squadra italiana più amata e seguita:
rappresenta il nostro calcio nazionale. L’ingiustizia di questa sentenza
è evidente: in molti l’hanno rilevato, anche non di fede bianconera, e
noi ci difenderemo con fermezza per tutelare l’interesse dei tifosi
della Juve e di tutti quelli che amano il calcio. Spero che insieme alle
altre squadre e al Governo possiamo cambiare il calcio nel nostro
Paese, per costruire un futuro sostenibile e ambizioso. La Juventus non è
il problema, ma è, e sarà sempre, parte della soluzione. Qui è in gioco
il futuro della serie A, che sta diventando marginale e irrilevante».
LA FERRARI, LA VELA DI SOLDINI
A parte il calcio,
tra le grandi passioni dell’Avvocato ci sono la Ferrari e la vela. Sul
“Cavallino Rampante”, il ventennio è in chiaroscuro. «È vero – ammette
Elkann – ma non dimentichiamo che dal 2003 ad oggi Ferrari ha
collezionato 83 vittorie, 290 podi, tre titoli mondiali piloti e quattro
titoli costruttori; e da quest’anno tornerà a Le Mans dopo
cinquant’anni di assenza. Non è poco, anche se ora abbiamo molto da fare
per tornare a quei primati». Mentre c’è poco da fare, se non
festeggiare, sul versante velico, «con i record di Soldini sul trimarano
Maserati nella Rotta dell’oro e nella Rotta del the, a cui si aggiunge
il recente primato alla RORC Transatlantic Race: una vittoria che ha
voluto dedicare all’Avvocato».
L’EDITORIA, GEDI E IL RUOLO DEI GIORNALI
Gianni
Agnelli amava i giornali. La Stampa era in ogni senso il “suo” giornale.
Oggi, con la rivoluzione digitale, anche l’editoria è diventata una
frontiera dove si combatte e dove tutto cambia a una velocità
impressionante. Compreso il giornalismo. Come la vede Elkann? «Prima di
tutto a mio nonno farebbe piacere vedere che la sua famiglia è primo
azionista dell’Economist (che lui leggeva ogni settimana), consolidando
il suo ruolo di punto di riferimento per il mondo libero. La stessa cosa
vale per La Stampa, che ha mantenuto e manterrà quella tradizione
laica, liberale e progressista in cui lui ha sempre creduto. Di sé, come
editore, raccontava di aver sempre incoraggiato una buona scrittura e
un resoconto rigoroso, in un quadro il più imparziale possibile.
Ripeteva: “Credo che un giornale debba essere stimolante e provocatorio
ma anche affidabile, e ho sempre cercato di dare piena libertà ai nostri
direttori della Stampa”…». Alle partecipazioni editoriali, da tre
anni, si è aggiunta definitivamente Repubblica, ora al centro di voci su
una possibile vendita. Cosa risponde Elkann? «Sono voci che mirano a
generare instabilità. Repubblica è parte integrante di Gedi, una
bellissima organizzazione editoriale che mette insieme informazione e
intrattenimento e sta puntando decisa sull’innovazione: OnePodcast a un
anno dal lancio è il n°1 nell’audio digitale e il leader italiano dei
social, Stardust, sta mostrando un potenziale enorme. Forti del nostro
passato, stiamo costruendo il nostro futuro: il successo di Limes
conferma che se un editore dà a un giornalismo di talento la libertà di
esprimersi e di manifestare la sua opinione, la sfida si può vincere».
L’EREDITÀ E I CONFLITTI IN FAMIGLIA
In questo
scenario complesso ma pieno di spiragli di luce, la famiglia è
attraversata da una linea d’ombra. E per la prima volta Elkann la
oltrepassa. Parliamo del conflitto sulla successione aperto dalla mamma,
Margherita Agnelli. «È una vicenda molto triste. Mia madre ha riaperto
la questione ereditaria subito dopo la morte del nonno, in modo inatteso
e in un momento particolarmente difficile, perché tutto ciò che lui
aveva realizzato sembrava vacillare. Per lui questa scelta sarebbe stata
inaccettabile, perché contraria a tutto ciò in cui credeva».
Il dubbio è se non ci sia stata anche una qualche leggerezza dell’Avvocato nella gestione dell’eredità. «Per nulla, anzi – risponde Elkann – lui nelle sue disposizioni ha seguito lo schema tracciato da suo nonno. La sua indicazione è stata molto chiara: meno chiara è stata mia madre, che ha manifestato le sue contrarietà solo quando lui non c’era più. La verità è che in quel 2003 molti hanno pensato che per la Fiat i giochi erano finiti e la storia che era durata un secolo si stava disfacendo, come nel romanzo di Thomas Mann…».
Elkann lo ha seriamente temuto? «No. Ma come famiglia ci siamo sentiti attaccati molto duramente, sia dall’interno che dall’esterno. E in modo inaccettabile, devo dire, perché il sistema bancario e finanziario italiano che da sempre aveva tratto benefici dalla Fiat, in quel momento non ci ha sostenuto. Abbiamo fronteggiato una vera e propria violenza, che è aumentata a seguito della morte di mio zio Umberto. Ma è stato anche un momento che ha portato a una forte unione famigliare e ha rafforzato il nostro legame con la Fiat, portandoci ad assumere le responsabilità che ne derivavano».
I PROSSIMI VENT’ANNI
E ora, cosa sarà dei prossimi vent’anni? «Questi ultimi, senza l’Avvocato, li ho trascorsi con persone più anziane e sagge, e ho capito molte cose. Per esempio, che se non lavori con i giovani, non hai un futuro. I prossimi vent’anni li voglio vivere con chi è più giovane di me: per imparare, per respirare il futuro».
LA STAMPA
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