Henry Kissinger: “Il mio amico Gianni era un vero atlantista, ma diceva sempre che la Russia sta in Europa”
Lucio Caracciolo
Henry Kissinger, cento anni a maggio, ricorda con emozione il suo amico Gianni Agnelli a vent’anni dalla scomparsa. Il più influente teorico e pratico della politica estera americana, tuttora attivo sulla scena pubblica internazionale con opinioni spesso controcorrente, ha fama di uomo freddo. Non le è. Certo non quando parla del presidente della Fiat, con il quale ha condiviso una lunga e profonda amicizia: «Gianni Agnelli era un uomo di visione, di grande umanità e apertura mentale. Aveva uno charme leggendario, a cui anche io – sulle prime – ho cercato di resistere. Ma non è stato lo charme a creare l’amicizia. È stata l’ampiezza dei suoi interessi. E così siamo diventati amici».
Quando?
«Ci siamo conosciuti nel 1969, quando accompagnai il presidente Nixon durante una visita a Roma. Ci fu una meravigliosa cerimonia al Quirinale, con molti politici e uomini d’affari italiani. La nostra amicizia si è cementata nei due anni successivi. Ogni volta che veniva in America mi chiamava. Ci siamo sempre tenuti in contatto, ma non mi ha mai chiesto nemmeno un favore. Non mi ha mai chiesto aiuto per la Fiat. Mi chiedeva di come andasse il mondo in generale. Parlavamo delle nostre vite, di quello che ci succedeva».
Lei ha definito l’Avvocato «un uomo del Rinascimento».
«Ho usato quell’espressione perché Gianni era un uomo curioso di tutto. Era appassionato di arte, di sport, non solo di politica. Ovviamente, era anche molto interessato all’industria italiana e, aggiungerei, europea. Gianni era capace di appassionarsi a tutto. Per questo i suoi interessi erano così ampi e intensi».
Agnelli era pro-americano nel senso più ampio del termine, un atlantista convinto. Come vedeva il rapporto fra Italia e Stati Uniti?
«Gianni pensava che il mondo stesse andando incontro a una profonda trasformazione. Era convinto che le nazioni atlantiche dovessero affrontare insieme quel cambiamento. Ma era anche convinto che fosse necessario cooperare con tutti i paesi. Gianni era molto orgoglioso delle sue origini italiane. Credeva che l’Italia fosse qualcosa di speciale. Allo stesso tempo, pensava che l’Europa dovesse essere unita e fortemente legata all’America».
Non tutti i leader italiani del tempo, specialmente se politici, erano così atlantici. Non le sembra che l’Italia della guerra fredda tendesse verso il neutralismo?
«No. Secondo me l’Italia era un paese completamente atlantico, sia in termini industriali che politici. Anche perché l’evoluzione della storia europea ha dato all’Italia un indirizzo particolare. Gianni si interessava di politica ed era in contatto con i massimi politici italiani. Ma non si interessava tanto dei problemi immediati. Gli interessava di più capire come i problemi potessero svilupparsi e impattare sulla società nel lungo termine. È per questo che si è impegnato a formare giovani leader, alcuni dei quali sono diventati molto importanti. Gianni è sempre stato aperto a discutere con qualsiasi leader politico. Certo, aveva le sue idee. All’epoca l’Europa era divisa in due. Lui era a favore della Nato, ma credeva che bisognasse sforzarsi di tenere insieme paesi e società diverse. Ed era sicuro che con la Russia – allora Urss – si potesse collaborare».
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