Henry Kissinger: “Il mio amico Gianni era un vero atlantista, ma diceva sempre che la Russia sta in Europa”
Viviamo un’epoca totalmente diversa. Come pensa che l’Avvocato avrebbe giudicato questo mondo in guerra?
«Gianni pensava ieri e penserebbe oggi che ogni nazione ha un impatto sulle altre. È molto importante non troncare mai il dialogo per far sì che ciascun paese, anche se coinvolto in un conflitto, abbia la certezza di poter tornare ad essere considerato buono».
Varrebbe anche per la Cina?
«Credo di sì. Alla fine della sua vita Gianni stava esplorando la possibilità di entrare in Cina. Vi aveva anche aperto qualche stabilimento. Ma non mi ha mai chiesto aiuto, nonostante io abbia ottime relazioni da quelle parti».
Forse è per questo che i cinesi alla fine degli anni Novanta hanno deciso di guidare Volkswagen (Kissinger ride e non commenta). Lei ha detto che Agnelli è stato «un leader che ha sempre tenuto conto delle relazioni internazionali». Un’eccezione nel mondo dell’industria?
«Gianni si è dedicato molto alla causa atlantica e a quella europea, ma credeva davvero nell’industria e nella nazione italiana. Una volta stavamo parlando delle grandi istituzioni internazionali. Eravamo d’accordo sul fatto che fossero utili, ma lui mi disse: “Io sono un’istituzione nazionale”. Voleva che la sua impresa industriale avesse anzitutto un impatto nazionale. Italiano».
Oggi noi occidentali in Europa siamo in guerra con la Russia.
«Al tempo della nostra amicizia, l’Europa era ancora divisa in occidentale e orientale. E c’era meno contatto fra quelle due parti. Gianni aveva degli interessi in Russia sovietica e pensava che la Russia fosse a tutti gli effetti parte dell’Europa. Siamo stati anche qualche giorno insieme in Russia. Sfortunatamente oggi c’è la guerra in Ucraina a mettere insieme Europa orientale e occidentale. Io spero che questa cooperazione continuerà dopo la guerra».
Per lei la Russia è o non è parte dell’Europa?
«Il problema delle relazioni tra Russia ed Europa è dato dal fatto che la Russia ha sempre ammirato l’Europa, suo modello culturale, ma allo stesso tempo è sempre stata spaventata dall’Europa e dall’Occidente in generale, perché ne è stata invasa più volte. La Russia non è riuscita a decidere una volta per tutte se vuole vivere nella speranza o nella paura. Io credo che, comunque finisca in Ucraina, la Russia debba essere senza dubbio inclusa nel quadro europeo. So che in questo momento non sembra molto probabile, ma penso che il futuro sarà questo. E credo che Gianni avrebbe detto la stessa cosa».
Lei crede che oggi, nel mondo di Internet e dell’intelligenza artificiale abitato da oltre otto miliardi di umani, sia possibile costruire un nuovo ordine europeo e mondiale? Non è utopia?
«L’intelligenza artificiale cambierà il mondo. Siamo solo agli inizi. L’impatto sarà enorme. È come se fossimo nell’età dell’illuminismo: sta emergendo un nuovo concetto di realtà. Il problema, e la differenza con il XVIII secolo, è che l’intelligenza artificiale è totalmente distruttiva. Non ci sono più limiti alla capacità umana di distruggere. Ma ciò significa che, in un modo o nell’altro, l’umanità dovrà rendersi conto che la pace è necessaria. Duecentocinquanta anni fa, Kant disse che la pace sarebbe stata raggiunta o grazie alla coscienza umana della sua inevitabilità o a causa di catastrofi tali da non lasciare ulteriori opzioni. Lo penso anch’io. Gianni sarebbe stato meno filosofico e più pratico. Io ero più filosofico, ma penso che i nostri approcci fossero paralleli. Avremmo avuto lo stesso obiettivo».
Parlando della sua amicizia con Gianni Agnelli, è inevitabile ricordare la vostra comune passione per il calcio. Lei ha scritto che ogni Nazionale gioca seguendo il carattere della sua nazione. Ne resta convinto?
«La pensavo così, ma ormai il calcio ha trasceso la dimensione nazionale. Ci sono squadre di diversi Paesi che comprano i giocatori migliori, sicché la dimensione puramente nazionale del gioco è più labile. Nel 1970 ero presente alla finale del Mondiale tra Italia e Brasile, giocata all’Azteca di Città del Messico. Il Brasile fu incredibile, ma l’Italia aveva un’organizzazione difensiva magnifica. Difensiva nel senso buono: il modo di giocare dell’Italia era puro Machiavelli! E penso che sia grazie a quel gioco che l’Italia ha vinto il Mondiale del 1982. Ero a Madrid quel giorno, e il presidente italiano voleva che io tornassi in Italia con lui per i festeggiamenti. Purtroppo non potevo. Ma fu un gran giorno. Però, guardi l’ultimo mondiale: i giocatori vanno da un paese europeo all’altro, sicché la tecnica di gioco è ormai universale. Tutte le grandi Nazionali giocano allo stesso modo. Non vincono per il loro carattere nazionale. È solo questione tecnica.
Perché agli americani il calcio interessa poco?
«Ospiteremo la prossima Coppa del Mondo, quindi spero che gli americani si appassionino al calcio. In generale, se guardi gli sport americani, ti accorgi di come ogni giocata, ogni azione, possa essere analizzata nel dettaglio. Puoi disporre di ogni tipo di statistica. Gli americani amano questa cosa. Il calcio europeo è più fluido. La bellezza del calcio europeo sta proprio nella sua fluidità e nell’impossibilità di fare qualsiasi tipo di previsione. Io e Gianni siamo andati a vedere molte partite insieme. In qualunque posto ci trovassimo, controllavamo le partite che vi si giocavano e andavamo a vederle».
Dottor Kissinger, lei è juventino?
«Certamente. Io tifo Juventus. Sono andato due volte a vederla giocare la finale di Coppa dei Campioni. La Juve era parte della vita di Gianni. Io ancora oggi ne parlo con John Elkann, suo nipote, mio caro amico e, ovviamente, grande juventino».
LA STAMPA
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