Siamo tutti Lia, Liliana e Sami
MASSIMO GIANNINI
Non vi stancate. Non vi annoiate. Ricordatevi di noi. Urliamo noi quello che Liliana Segre, Sami Modiano, Lia Levi dicono piano, con la voce gentile e sommessa di chi è sopravvissuto alla più immane tragedia di ogni tempo ma ha visto l’anima fuggire via per sempre insieme al fumo di un camino. Gridiamo noi la loro paura dell’oblio, che sfumerebbe fino a cancellarlo lo sterminio di sei milioni di esseri umani colpevoli solo di essere nati. “Una riga sui libri di Storia, e poi neanche più quella…”: non è un’iperbole vittimistica, quella che Liliana ci consegna oggi, riaffacciandosi sull’abisso del Binario 21 della Stazione di Milano, dal quale partivano per i lager i treni della nostra vergogna. Persino l’Olocausto può stufare, in quest’epoca di algoritmi forti e di pensieri deboli. Persino Auschwitz può svanire, nel gorgo dei piccoli rancori quotidiani consumati in quella tavola calda per antropofagi chiamata Rete.
Non abbiamo tempo per indagare ancora quella banalità del male. Non abbiamo voglia di indugiare ancora su quel cuore di tenebra. Il nazifascismo e le leggi razziali, la notte dei cristalli e la Shoah. Come accusa Lia: lo spirito dei tempi sembra dire “è roba vecchia, è passata, non ci riguarda più”. E se proprio dobbiamo, ascoltiamoli ancora per un po’, questi pochi vecchietti che vanno per scuole e Parlamenti a dire “io c’ero, io ho visto, io vi racconto”.
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