Meloni, i primi 100 giorni del suo governo: forza (e debolezza) al primo giro di boa

Le improvvisazioni

Croce e delizia della fase due che sta per aprirsi è il Melonicentrismo. Parte robusta della tenuta del governo pesa sulle spalle di Giorgia, le continue ingenuità della squadra che la costringono a esercitare un controllo continuo, che le fa sperperare energie. Non è soddisfatta, la premier, dell’immagine che si catapulta all’esterno, figlia spesso di improvvisazioni. Si spazia dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che si fa tradire dalle parole e propone l’umiliazione per mettere in riga gli studenti bulli, al ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che presta il fianco alle polemiche mettendo Dante tra i fondatori del pensiero della destra. Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, che scivola sull’inglese, peraltro confermando una consolidata tradizione italiana, sia a destra che a sinistra. La ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, che aveva esordito al Giuramento con un video sulle note di «T’appartengo» di Ambra Angioini. Ma probabilmente la presidente del Consiglio vorrebbe più sobrietà anche dagli amici della prima ora, come il presidente del Senato Ignazio La Russa e il ministro della Difesa Guido Crosetto. Il primo si è esposto con una celebrazione del Msi, che non è piaciuta alla Comunità ebraica, il secondo con un attacco diretto alla Bce. E spunta anche un po’ di fronda all’interno di FdI, con Fabio Rampelli deluso per non aver avuto la candidatura alla regione Lazio. Lui si sente ancora il mentore di Giorgia, mentre lei non ha alcuna intenzione di fare ancora la parte di Calimera, soprannome con cui era conosciuta tra i «Gabbiani» di Colle Oppio, di cui proprio Rampelli era il leader. Ma era il 1992, la premier era allora una ragazzina.

No al partito unico

Sul futuro della maggioranza e del governo pesa poi l’insofferenza degli alleati, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Di partito unico Giorgia Meloni non vuole sentir parlare e Lega e Forza Italia non hanno intenzione di stare a guardare, con Fratelli d’Italia che gli rosicchia ogni giorno la base elettorale. E con gli azzurri insidiati dall’Opa sfrontata di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Anche le Regionali possono essere a doppio taglio, se sarà la premier a fare l’asso pigliatutto. Le fibrillazioni potrebbero ripercuotersi anche sulle due riforme di sistema del programma di centrodestra: l’autonomia differenziata e il presidenzialismo. Sulla prima Salvini preme, ma Berlusconi non vuole che il Sud ci lasci le penne e Meloni è attenta anche alle ragioni del centralismo. Sulla seconda, specie in mancanza di intese larghe, pesa l’eterna incognita del referendum, con un passato di vittime illustri.

CORRIERE.IT

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