L’Occidente contro Putin e la geopolitica di Amadeus
Ci stiamo riuscendo, anche stavolta. A fermare le miserabili baruffe tra comari da talk show non bastano l’odio nel ventre d’Europa e il nemico alle porte d’Oriente. A stoppare la rancorosa intifada digitale tra webeti non bastano undici mesi di orrore, di sangue, di morte. A stoppare la patetica contesa tra Cretino Collettivo con l’elmetto e zelanti Putin-Versteher col colbacco non bastano 6.702 civili ucraini massacrati e 123 mila russi caduti al fronte. A raffreddare i cervelli e a far palpitare i cuori non bastano la paura di un allargamento del conflitto, con la Casa Bianca che autorizza il comando di Kiev a effettuare attacchi diretti alla Crimea, e la minaccia di una nuova offensiva di Mosca, con altri 200 mila tra soldati e coscritti che già premono ai confini bielorussi.
La tragedia della guerra degenera nella farsa su Sanremo. Con zero gravitas e poco senso della Storia, giochiamo i destini della civiltà occidentale sul palco dell’Ariston. In ossequio alle regole del “gran mischione” (come lo definisce Michele Serra), il video-saluto di Zelensky finirà impacchettato tra uno strillo dei Maneskin e un borborigmo di Achille Lauro. Il suo grido di dolore risuonerà fortissimo, tra un selfie di Chiara Ferragni e uno smile di Chiara Francini. Due minuti, non di più. Giusto il tempo di ricordare che, mentre noi aspettiamo trepidanti il verdetto sui big ammessi allo spareggio finale, a Kharkiv e a Bakhmut donne e bambini continuano a morire sotto i bombardamenti dello Zar. Poi via, come sempre, show must go on. “Perché Sanremo è Sanremo”, come recita il claim del contenitore più nazional-popolare della Patria.
E in quel teatro tra i fiori abbiamo sempre ingoiato e digerito di tutto, dall’Armata Rossa a Michail Gorbacev, dai metalmeccanici disoccupati agli orchestrali sindacalizzati, da Favino che recita la poesia dei migranti a Saviano che ricorda il martirio di Falcone. Volete negare le luci della ribalta al presidente ucraino, che oltre tutto da consumato attore qual è sa sfruttarle sempre al meglio, come ha già dimostrato alla Mostra del cinema di Cannes o ai Grammy di Las Vegas?
A questo si riduce, il nostro discorso pubblico. Zelensky a Sanremo, sì o no, col solito frastuono di cori da curva. Stavolta brillano per ottusità militaresca gli ultras del sì, pronti a cavalcare persino il delirio di qualche imbecille malato di sindrome maniacale da tarda par condicio che dice: «Se parla Zalensky allora serve il contraddittorio». Un’idiozia che andrebbe tacciata da un pietoso silenzio. E invece la “Coalition of the Willing de’ noantri” la prende sul serio, e la usa non solo per sostenere le ragioni della comparsata del presidente ucraino, ma anche per riaprire la caccia ai contrari, sperando che siano tutti “rosso-bruni” e tutti “arruolati” al partito pro-Putin (da notare il verbo, non a caso proprio delle caserme). Ma stavolta gli va male, perché a esprimere dubbi sull’opportunità dell’operazione non sono solo gli appositi Conte e Salvini, ma anche i Bonaccini, i Cuperlo, i Calenda. Un “partito” composito e troppo trasversale, per essere bollato di intelligenza col Cremlino. Fate uno sforzo, brothers in arms, e magari ci arrivate anche voi. Forse non aiuta la causa di quel popolo aggredito e martoriato, mischiare la guerra e i Cugini di Campagna (di nuovo Serra). Forse così si svilisce anche quell’immensa catastrofe dentro il frullatore della Grande Banalizzazione Contemporanea, dove un missile su un condominio finisce per valere quanto una “bomba” di Fedez. Non serve aver cenato all’Hotel Metropol con Savoini e il vice-primo ministro dell’energia Kozak, per sostenere con un minimo di ragionevolezza che “l’alto” di un sanguinoso conflitto bellico stona con “il basso” di un giocoso concorso canoro.
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