La Chiesa che sta perdendo l’Europa
Ora è vero che l’universalismo è iscritto nel dna stesso del Cristianesimo e nel nome stesso del Cattolicesimo. Ma quell’universalismo cattolico ha comunque alle spalle una storia. Che era la storia di un ancoraggio fortissimo in un contesto e in un luogo precisi, sede di una millenaria tradizione di pensieri e opere risalente addirittura a prima di Cristo: cioè per l’appunto l’Europa. Per lungo tempo le vicende del Cristianesimo e dell’Europa avevano proceduto all’unisono, e quella tradizione europea, impregnata di spirito anche laico, anche irreligioso, aveva pur fatto corpo (eccome!) con l’identità del Cristianesimo, l’aveva condizionata, alimentata e modellata e ne era stata a propria volta alimentata e modellata. È mai possibile per il Cristianesimo/Cattolicesimo fare a meno di questo rapporto costitutivo e tuttavia conservare la propria identità? Lo può soprattutto la Chiesa che è di Roma perché qui essa raccolse l’eredità di tutto quanto c’era prima e se ne servì per tutto quanto sarebbe venuto dopo? Per tutto quanto essa per prima sarebbe stata dopo? Questo è l’interrogativo formidabile che si pone oggi.
E però tutto lascia credere che Roma quella domanda ormai non se la ponga neppure. Dovrebbe altrimenti constatare come proprio agli europei la sua attuale prospettiva irenico-universalista intrisa di ottimismo non possa che apparire sempre più irreale; come negli europei ogni illusione terzomondista e multiculturale vada ormai spegnendosi per effetto della ferocia islamista e non solo; come al di fuori dell’Occidente ogni internazionalismo resti un «flatus vocis» perché contano solo i rapporti di forza; dovrebbe constatare come le società europee pur continuando ad essere sempre travagliate dall’ineguaglianza lo sono in pari misura da altre cose: da una silenziosa ma lacerante inquietudine sui valori della vita e sul senso della morte che nessun progresso tecnico o economico può esorcizzare, da un’ansia di appagamento nel futile e nell’immediato che produce tuttavia solo abissali solitudini. A questa Europa che si allontana, che è già così lontana, Roma però non sembra neanche più interessata a trovare qualcosa da dire: convinta evidentemente che non qui ma altrove si giochi ormai la partita decisiva.
Eppure qui e non altrove sono le radici della Chiesa e della sua identità, la quale proprio per questo rischia di consumarsi e svanire, portandosi via anche il senso e la forza di quelle regole che ne costituivano il frutto. Ed è per l’appunto questo svanire dell’identità che produce la crisi che oggi si manifesta innanzi tutto — non a caso! — nel centro stesso della Chiesa rappresentato dalla Santa Sede e dal Vaticano: in un impasto che non fa neppure più notizia di disordini finanziari e dissolutezze private, di ambizioni personali e di arbìtrii del potere, di intrighi e di sospetti di ogni genere. Senza che nessuno, a quel che sembra, pensi a correre ai ripari.
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