Sindrome da complotto, lo sfogo di Meloni sull’aereo da Berlino: “Giornali e sinistra vogliono azzopparmi all’estero”
Ilario Lombardo
DALL’INVIATO A BERLINO. Giorgia Meloni sapeva che a Berlino, dopo giorni di silenzio, a quella domanda non sarebbe più potuta sfuggire. Eppure, appena scende il gradino del podio, dove fino a un attimo prima è rimasta accanto a Olaf Scholz e si dirige verso l’auto che la porterà all’aeroporto, non trattiene lo sfogo: «Lo hanno fatto apposta, potevano risparmiarsi questa domanda qui. E invece non aspettano altro che farmi fare una pessima figura all’estero, per azzopparmi». La frase ci viene riportata da una persona che era sull’aereo con lei durante il ritorno a Roma. Ed è una considerazione condivisa da tutti i suoi uomini più fidati. Il contesto del bilaterale con il cancelliere tedesco, insomma, secondo la premier avrebbe dovuto spingere i giornalisti a limitarsi solo alle questioni internazionali.
Era la prima volta che Meloni appariva di fronte alla stampa italiana dopo i giorni di furia sul caso che ha coinvolto il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro e il vicepresidente del Copasir Giovanni Donzelli. In Italia la tensione è al massimo livello. Gli anarchici scendono in piazza urlando il nome di Alfredo Cospito, in sciopero della fame contro il 41 bis. E i due guardiani del melonismo divulgano documenti sensibili, su conversazioni tra Cospito e altri detenuti per mafia, con l’obiettivo esplicito di sostenere la tesi politica del vassallaggio del Pd verso mafiosi e anarchici.
Meloni conosce il peso delle affermazioni di Delmastro. Un uomo di governo che si chiede se i democratici si stiano inchinando a Cosa nostra e alla ‘ndrangheta, vuol dire forzare la normale dialettica con l’opposizione. Meloni sa e deve decidere cosa fare. Sceglie di difenderlo. Di non indietreggiare. Decide la linea con il suo staff e con i falangisti più duri come il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, spiazzando invece i ministri e l’ala più morbida del suo partito che si attendeva un segnale diverso, di censura verso il fedelissimo di Via Arenula. Uno che, raccontano i leghisti ancora increduli, durante le notti della sessione di Bilancio, a Natale, urlava in Aula e faceva gestacci rivolti all’opposizione. Meloni rilancia, rispolverando l’adagio di sempre contro i media. Scardina ogni consuetudine con i giornalisti, quando non risponde alla domanda de la Stampa, la domanda di venti inviati italiani presenti a Berlino, e poi scrive una lettera al Corriere, in cui attacca il Pd. Sostenendo, in sostanza, quello che hanno detto Delmastro e Donzelli.
E si ritorna all’aereo. Alla premier che è grigia dalla rabbia per quell’eterna sensazione di essere assediata dalla sinistra e dai giornali. Non qui, non all’estero – dice – non di fronte a un altro leader, mentre sta trattando su aiuti di Stato e migranti «per l’interesse nazionale». Meloni ricorda benissimo i viaggi dei suoi predecessori, le domande sulle escort che inseguivano Silvio Berlusconi ovunque nel mondo, le domande, al termine dei vertici internazionali, sulle grane poste da Matteo Salvini che hanno tormantato prima Giuseppe Conte e poi Mario Draghi. Ma non le basta.
È convinta che ci sia «un accanimento». Studiato per colpirla nella credibilità che sta provando a costruirsi con i partner in Europa. È quello che dovrebbe ripetere anche oggi, dal palco dell’auditorium della Conciliazione a Roma, quando per la prima volta si ritroverà accanto Berlusconi e Salvini, per tirare la volata elettorale nel Lazio a Francesco Rocca.
La smorfia di Scholz che, stranito, sente parlare di una storia di due coinquilini, un sottosegretario e un parlamentare, che si passano documenti d’indagine delicati, le fa male. L’immagine all’estero, che sta faticosamente plasmando per far dimenticare la sovranista che urlava contro euro e banche, è la parte più delicata del suo racconto. Rifondare una reputazione, smentendo il vecchio amore per Orbàn e anni di battaglie politiche che ogni volta i giornalisti le ricordano, non è facile. Tanto che non ha ancora confermato una data per la conferenza con l’associazione della stampa estera in Italia. Meloni continua a rinviarla. L’ultima volta è stato a fine gennaio, quando aveva mandato a trattare il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Proprio in quei giorni emergono le lamentele dei corrispondenti stranieri, le accuse per la mancanza di trasparenza a Palazzo Chigi. E spunta un sospetto: che Meloni non voglia buttarsi senza rete, e voglia sapere in anticipo le domande. Come il suo staff aveva chiesto durante la campagna elettorale. Una pretesa che la scorsa estate ha un po’ sorpreso i rappresentanti dei giornali stranieri. Le domande – le era stato risposto – non si concordano prima.
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