Le ricadute della crisi dei partiti
Se questo è «l’esprit général de la nation», lo spirito generale della nazione, per usare una espressione di Montesquieu, se si registra un distacco della società dallo Stato e dalla sua classe dirigente, il cui tasso di successo è debole e variabile, sia per scarsa capacità di cogliere i movimenti di fondo della società e di aggregarne interessi, sia perché — come diceva Tacito per Galba — «capax imperii, nisi imperasset» (capace di governare, se solo non avesse governato davvero) se i ruoli tra i poteri dello Stato si stanno rovesciando, dobbiamo disperare?
Innanzitutto, meriti e demeriti della politica vanno misurati con le difficoltà dei tempi, che sono grandissime. In secondo luogo, bisogna esser fiduciosi nella capacità della democrazia di autocorreggersi: la maggiore forza della democrazia sta proprio nel fatto che, sottoponendo i governanti a periodiche autorizzazioni popolari e al gioco dei poteri contrapposti, è «a machine that runs of itself», una macchina che funziona da sola, come scrisse nel 1888 uno dei critici della fede nella perfezione meccanica della Costituzione americana.
Fatti questi due «caveat», di che cosa c’è bisogno per invertire la rotta? Il primo elemento indispensabile lo indicò un politico di lungo corso come Vittorio Emanuele Orlando a un grande filosofo come Benedetto Croce, nel 1940: «Ricordati, Croce, che siamo divisi da un solo minuto, ma da un minuto essenziale. Tu sei un filosofo ed uno storico: per te è sufficiente capire un minuto “dopo”. Un uomo di Stato è costretto a capire almeno un minuto “prima”».
Il secondo riguarda la capacità di orchestrazione della politica. Sì, proprio orchestrazione, nel senso di saper combinare tra di loro le varie voci per ottenere gli effetti timbrici desiderati, assicurando il concorso di tutti, quando necessario anche il loro silenzio.
Il terzo riguarda il contributo che può dare l’opinione pubblica per riempire la politica di contenuti. Ad esempio, la capacità dei media di relegare allo spazio che si meritano le esternazioni quotidiane dei politici, portando in primo piano notizie di eventi, nonché situazioni che, per il solo fatto di essere lì, spesso incancreniti, da tempo, non fanno più notizia, ma sono tuttavia essenziali per la vita di ogni giorno delle persone.
Da ultimo avremmo bisogno di qualcuno che si mettesse a riscrivere, per il futuro, quel «libro dei sogni», come fu chiamato il primo ed unico piano economico nazionale, ma ricco di tutti i «sogni» che la classe dirigente italiana ha poi realizzato nel mezzo secolo successivo.
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