I giovani e il lavoro di qualità

di Antonio Polito

La carenza di manodopera ormai convive con livelli ancora elevati di disoccupazione, soprattutto giovanile, an che perché i ragazzi sono diventati più esigenti

A Brescia tra gli imprenditori gira una storiella. Dice che mentre un tempo i colloqui per le assunzioni si concludevano con un «grazie, le faremo sapere» dell’azienda al candidato, ora finiscono con un «grazie, vi farò sapere» del candidato all’azienda. E il presidente della Camera di Commercio, Roberto Saccone, mi assicura che non è una battuta: sempre più spesso le cose vanno proprio così.

Un po’ in tutt’Italia le imprese lamentano una crescente carenza di manodopera. L’aneddotica è ricca, e non risparmia neanche le aree più industriose e le comunità più permeate da un’antica cultura del lavoro, come appunto Brescia e la sua provincia (non a caso la prossima Futura Expo delle imprese bresciane metterà questo tema tra gli obiettivi di sostenibilità, al pari di energia e ambiente).

Nelle rilevazioni statistiche la carestia di lavoro viene indicata sempre più in alto tra i fattori di rischio per la ripresa e la crescita. Per quanto paradossale, il fenomeno ormai convive con livelli ancora elevati di disoccupazione, soprattutto giovanile. E seppure siamo ben distanti dalle dimensioni che ha assunto negli Usa, durante e dopo il Covid, la cosiddetta «Great Resignation» (o «Big Quit»), anche in Italia abbiamo toccato una cifra record nell’anno appena finito: più di un milione e seicentomila persone hanno lasciato volontariamente il lavoro nei primi nove mesi del 2022, e il trend è in continua crescita.

Ci sono ovviamente numerosi e importanti fattori sociali dietro questa specie di sciopero del lavoro, e il Corriere li ha più volte analizzati. Tra gli altri, un sistema scolastico che, carente sotto molti aspetti formativi, lo è ancor di più per quanto riguarda l’orientamento, la capacità cioè di indirizzare i giovani verso gli studi a loro più consoni e i lavori più richiesti. Questo crea spesso un mismatch tra le esigenze delle imprese e le abilità professionali acquisite dai futuri lavoratori. Maggiore fortuna dovrebbero per esempio avere, in un Paese manifatturiero come il nostro, gli Its (Istituti Tecnici Superiori), scuole di eccellenza tecnologica post-diploma.

Ma poiché il fenomeno riguarda ogni tipo di lavoro, non solo quelli qualificati ma anche i «generici», bisogna prendere atto che ha radici più profonde.

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