Erdogan tra le rovine del terremoto: «Era impossibile prepararsi»
di Marta Serafini, inviata ad Antiochia
Ritardi, code, rabbia. Il presidente accusa i «provocatori» che protestano per la lentezza dei soccorsi
«Andate anche voi verso Antakya (Antiochia, ndr)?». Si illuminano di speranza gli occhi di Murat Angay, 52 anni, mentre sente nominare nella hall dell’hotel la sua città. Nelle macerie di una delle città più colpite dal sisma , ci sono suo figlio Bahetan, 29 anni e sua moglie Makbuli, di 25. E Murat deve correre per arrivarci.
La strada da Adana, l’hub dei soccorsi, sembra corta. Ma non lo è dopo un sisma che ha ucciso più di 15 mila persone tra Siria e Turchia . Crepe nell’asfalto, mezzi di soccorso imbottigliati nel traffico che non riescono a passare, folle che assaltano i camion della protezione civile, il suono incessante delle sirene. Non c’è acqua, non c’è connessione Internet e non c’è luce dove la terra ha tremato. Mancano anche i sacchi per i corpi, dicono i soccorritori. Solo per fare benzina ci vuole un’ora, scarseggia già il carburante. Murat inizia a raccontare. «Sono partito appena saputo del terremoto dall’Olanda, dove vivo. Anche mio figlio ha passaporto olandese. Ma ha scelto di rimanere nella nostra città di origine almeno finché sua moglie non ottiene il visto». Si ferma, trattiene il respiro. «Sto parlando al presente….ma forse». L’auto riparte ma il gasolio è di cattiva qualità. Lungo la strada anche il fumo del porto di Iskenderun, dove bruciano ancora i container, sale dalla costa. Difficile non pensare al porto di Odessa. Sarà solo in serata che verrà estinto l’incendio.
Sembra la guerra. È il terremoto. Murat guida. E racconta. E piange. E risponde alle centinaia di telefonate e messaggi.
«Mio figlio è uno studente di tecnologia. Un anno fa è uscito di
prigione. Lo hanno accusato di far parte del Feto». È il movimento che
fa capo al religioso Fethullah Gülen, lo stesso che, insieme al Pkk, è
nemico giurato del Sultano, moneta di scambio con Svezia e Finlandia per
l’ammissione nella Nato. «Ma lui non ha niente a che fare con quelle cose».
Si morde le labbra Murat mentre pensa a quel passaporto olandese che
poteva salvare Bahetan.«Quel palazzo dove vivevano è crollato perché era
come tutto il resto, da queste parti. Era fatto male».
Intanto il presidente Recep Tayyip Erdogan fa il giro delle città colpite: Kahramanmaras,
Hatay. Fa mea culpa per i ritardi nei soccorsi dopo le critiche in
rete. «Inizialmente ci sono stati problemi negli aeroporti e sulle
strade, ma oggi le cose stanno diventando più facili e domani sarà
ancora più facile», afferma. Ma poi si giustifica: impossibile prepararsi ad una catastrofe del genere e punta
il dito contro i «provocatori», proprio mentre i giornalisti turchi
segnalano che Twitter è di nuovo irraggiungibile nel Paese.
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