Autocrati e intrecci letali
In Occidente, dalla Rivoluzione Francese in poi, cittadini sono tutti coloro che abitano su un territorio; nelle autocrazie i sudditi meritevoli di soccorso sono solo quelli che fanno parte della gens del capo, o gli sono fedeli. E così è in Siria
«Filosofi che osate gridare tutto è bene,/ venite a contemplar queste rovine orrende:/ muri a pezzi, carni a brandelli e ceneri./ Donne e infanti ammucchiati uno sull’altro/ sotto pezzi di pietre, membra sparse;/ centomila feriti che la terra divora,/ straziati e insanguinati ma ancora palpitanti,/ sepolti dai loro tetti, perdono senza soccorsi,/ tra atroci tormenti, le loro misere vite».
Da quando Voltaire scriveva questi versi per le vittime del terremoto di Lisbona, nel 1755, abbiamo imparato a non dare più alla volontà di Dio la colpa dei disastri naturali. Ma ancora non abbiamo imparato a fare la nostra parte di esseri umani per alleviarne le sofferenze. Adesso, mentre leggete queste righe, ci sono ancora in Anatolia «centomila feriti che la terra divora». In questo momento, ancora, donne e infanti «perdono senza soccorsi le loro misere vite». Nell’immane tragedia dell’Anatolia ce n’è una perfino peggiore che sta colpendo i popoli che vivono nel Nord della Siria. Dopo una guerra brutale di dodici anni, intrappolati da un despota che ha usato ogni possibile arma contro la sua gente, in un panorama desolato dalla distruzione arrecata dalle bombe, quattro milioni e mezzo di civili, tre milioni dei quali profughi o sfollati, aspettano un soccorso che chissà se arriverà. Già da anni la loro vita dipendeva interamente dall’aiuto umanitario occidentale.
Grazie a una risoluzione Onu del 2014, presa contro il volere di Assad, gli aiuti passavano infatti dall’ormai unico varco aperto nella frontiera siriana a Bab al-Hawa.
In realtà una volta le porte d’ingresso in Siria erano tre, ma la Russia,
alleata del dittatore di Damasco, ha usato il suo potere di veto nel
Consiglio di sicurezza per chiudere le altre due. A lungo le macerie,
la neve, gli aeroporti danneggiati, e la ferma intenzione di Erdogan di
pensare prima ai turchi, che a primavera decideranno il suo destino
nelle elezioni, hanno chiuso anche l’ultima via della speranza. Solo
ieri, finalmente, si sarebbe riaperta. I siriani del Nord, in questa
regione controllata da «ribelli» molto spesso curdi, sono ancora a
migliaia sotto le macerie, denuncia su Foreign Policy un
esperto di Medio Oriente, Charles Lister. I tremila eroici volontari
civili di White Helmets hanno acquisito negli anni una grande esperienza
nel tirar fuori i feriti dalle macerie dei palazzi e degli ospedali
colpiti e distrutti dall’aviazione siriana e russa; ma il disastro ora è
troppo immane, non hanno i mezzi, non hanno gli uomini e, anche quando
riescono a raggiungere i sepolti vivi, non hanno i medici per curarli.
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