Il molto che resta da fare

di Sabino Cassese

Si tratta di un programma per più generazioni, quindi è bene festeggiare i tre quarti di secolo di vita della Costituzione italiana, ma anche rinfocolare il patriottismo costituzionale nazionale

«Ce nto anni di esperienza hanno mostrato il limitato valore di tutte le formule di Carte costituzionali, di trattati internazionali, di codici. Non è possibile che un foglio di carta sbarri la via alle passioni umane, agli interessi, nonché alle aberrazioni o alle follie. Se dietro ogni garanzia costituzionale non c’è una forza vigile, non ci sono cuori caldi, la Carta sarà travolta dal fatto», così scriveva, il 2 gennaio 1948, all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana italiana, il grande giurista e storico delle relazioni tra Stato e Chiesa Arturo Carlo Jemolo.

È quindi bene non solo festeggiare i tre quarti di secolo di vita della Costituzione italiana, ma anche rinfocolare il patriottismo costituzionale nazionale. Se una nazione è una storia comune e un’anima, come scriveva lo storico del cristianesimo francese Ernesto Renan nel 1882, quest’anima è oggi scritta nella Costituzione. In questa sono registrati la reazione del popolo italiano al regime illiberale fascista, ideali ed esperienze appartenenti alle culture liberale, popolare e socialista, nonché quelle che Piero Calamandrei, nel 1955, chiamava «le grandi voci lontane di Beccaria, Cavour, Pisacane, Mazzini».

La Costituzione è un programma per più generazioni, scritto attingendo ai principi racchiusi nell’«officina di idee» del secondo dopoguerra: la «Rivista trimestrale di diritto pubblico» dedicò il primo fascicolo del 2018 a censire gli «ideali costituenti». Questo non deve però far dimenticare i punti deboli del testo e della sua storia.

Parlando, il 4 marzo 1947, alla Costituente, sul progetto di Costituzione, Piero Calamandrei, favorevole a una Repubblica presidenziale, «o almeno a un governo presidenziale», aggiungeva: «di questo, che è il fondamentale problema della democrazia, cioè il problema della stabilità del governo, nel progetto di Costituzione non c’è quasi nulla». Più tardi, nel 1995, un altro dei protagonisti della storia costituzionale, Massimo Severo Giannini, riassumeva così il suo giudizio sulla Costituzione: «splendida per la prima parte, banale per la seconda (struttura dello Stato) che è una cattiva applicazione di un modello (lo Stato parlamentare) già noto e ampiamente criticato». Infatti, per quarant’anni, cioè per più di metà della vita della Costituzione repubblicana, si è cercato, senza riuscirci, di modificare la seconda parte.

Il secondo punto debole consiste nella «lentissima fondazione dello Stato repubblicano» (sono ancora parole di Giannini). Fu necessario un decennio per istituire la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura. Dovette passare più di un decennio per la parificazione dei diritti delle donne negli uffici pubblici. Molte altre norme vennero ancora più tardi e furono spesso scritte con la tecnica del rinvio a leggi future. Le regioni cominciarono la loro vita 22 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, nel 1970, ma bisognò aspettare il 1972 e il 1977 per il trasferimento delle funzioni statali, poi completato e arricchito nel 1998 e nel 2001. Quindi, se è vero che non tutto il fascismo è stato fascista, è anche vero che non tutta l’Italia repubblicana è stata liberale e antifascista: basta pensare alla censura cinematografica e all’uso della polizia per schedare gli orientamenti politici dei cittadini.

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