Massimo Cacciari: “Se gli elettori disertano le urne, c’è un problema di legittimità del voto”

Il Ppe si prepara a sostituire i socialdemocratici con i nuovi moderati a trazione romana?
«L’orizzonte è quello. La sinistra lo ha capito che ha perso Berlino?».

Temo che non abbiano neppure capito di avere perso il Lazio.
«Lo hanno capito e lo sapevano già. Se vai diviso e senza proposta politica perdi per forza. È l’analisi più breve e semplice del mondo. Poi è vero che nelle città il Pd un po’ si salva perché è più organizzato di Cinque Stelle e Azione».

Conte aiuta o penalizza la sinistra?
«La sinistra non esiste. Se, poi, dopo un discorso autocritico di portata storica, il Pd fosse in grado di risorgere dalle ceneri, potrebbe considerare anche i Cinque Stelle come una delle sue componenti».

Non è, come dice Calenda, che domenica e lunedì si sono sbagliati gli elettori?
«Come fa una persona che fa politica a dire una cosa del genere? Ma che si faccia curare. Sono battute da psichiatra».

Renzi si è inabissato. Sono già finiti anche il Terzo polo e l’idea di grande centro?
«Non lo so, dipende anche dalla tenuta del patto di governo e da quello che farà un pezzo di Forza Italia. So però che Renzi chiede di cambiare il logo e che, se vuole, si mangia Calenda a colazione dieci volte. La differenza politica tra i due è piuttosto evidente».

Oggi il governo è più forte o più debole?
«I problemi all’interno della maggioranza sono sopiti da questo voto ma rimangono tali. Sia sulla politica estera sia sulle questioni interne. A cominciare dall’autonomia differenziata, che difficilmente il governo riuscirà a trascinare per tutta la legislatura. Zaia è sempre stato forte, Fontana lo è diventato di nuovo dopo il voto. Dubito che si accontenteranno di chiacchiere. Al momento la vera forza di Meloni è la debolezza degli avversari».

Professore, chi sarà il prossimo segretario del Pd, Schlein o Bonaccini?
«Bonaccini».

È un bene o un male?
«Che ne so. Non ho un vero metro di giudizio. I loro programmi sono la solita tiritera sul rinnovamento e sulla necessità di avvicinarsi alla gente».

Non è buonsenso?
«Non è niente. Politica estera, Europa, riforma delle istituzioni, autonomia differenziata, politiche fiscali e sociali, risorse aggiuntive da reperire senza fare nuovo debito. Su tutto questo neanche una parola. Lo zero assoluto. L’unico socialdemocratico della nuova era mi sembrava Cuperlo. Che però politicamente non esiste. La sua è una figura più religiosa che politica».

Perdoni se torno sull’astensionismo. Come si ricrea il legame sentimentale tra elettori e candidati?
«Solo attraverso un’offerta politica più appetibile e viva. Che oggi chiaramente non c’è».

Non è che la democrazia è morta, visto che le scelte alla base delle nostre vite dipendono sempre meno dai palazzi romani?
«Qui si aprirebbe un discorso piuttosto lungo sull’organizzazione del mondo intero. Semplificando molto direi che davanti a tragedie come la guerra o le grandi crisi economiche la gente sa di potere incidere davvero poco con il proprio voto. Comandano i parlamenti o la grande finanza? In presenza di una sfasatura sempre più drammatica bisogna reinventare la democrazia».

LA STAMPA

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