Bambini sospesi

Questo è l’altro gigantesco problema. La ricerca non manca solo sulla diagnosi, ma anche sulla cura e sui farmaci specifici. Un paziente bambino è diverso da un paziente adulto. La sua sopportazione di alcune molecole è molto inferiore, la tossicità di alcuni farmaci insopportabile per un organismo non ancora sviluppato. «Per capire la differenza e l’ingiustizia insita nei passi avanti fatti, basta sapere che per le leucemie e i linfomi per fortuna siamo ora all’80 per cento di possibilità di guarigione. In certe forme anche al 90. Ma per i sarcomi siamo fermi a mala pena al 40 per cento, e la possibilità vale giusto per chi se ne accorge in tempo».

L’ingiustizia estrema di cui parla Francesca Testoni non riguarda solo l’Italia. Non sono “considerati” rari solo i tumori infantili, sono sempre più rari anche i bambini, così – in generale e in tutt’Europa – si investe sempre meno sugli ospedali pediatrici. «Si pensa che per un tumore all’osso ci si possa rivolgere all’ortopedico degli adulti, ma non è così. La cura dei tumori infantili richiede multidisciplinarità, confronto continuo, messa in rete dei dati. Quando al Sant’Orsola si esamina un caso lo si fa con l’ortopedico, il cardiologo, l’ematologo, con tutti gli specialisti perché le cure sono così invasive che è tutto l’organismo ad essere sotto attacco. E ad aver bisogno di essere protetto. Una ragazzina di 14 anni si è ammalata di fibrosi polmonare a causa delle cure che aveva fatto in passato. Era sopravvissuta al tumore, ma è morta dopo, per la fibrosi, in attesa del trapianto».

La ricerca sui farmaci adatti ai bambini ammalati di tumore serve a questo. Affinché facciano meno danni possibile. E a questo servono le due borse di ricerca che quest’anno finanzia Ageop, che conta ormai oltre 200 volontari, 5 case di accoglienza e garantisce gratuitamente alloggio, vitto, consumi, trasporti e cure psicologiche a circa 100 bambini con le loro famiglie. Il primo progetto, affidato a Federico Mercolini, si concentrerà sulla cura dei sarcomi nei bambini. Il secondo, coordinato dalla dottoressa Costanza Donati, riguarda la radioterapia: come rimedio, ma anche come cura palliativa quando non c’è più nulla da fare e la cosa su cui concentrarsi è eliminare il dolore.

La bambina con il raffreddore di cui parlava Francesca Testoni, che chiameremo C. per non rivelarne l’identità, non ce l’ha fatta. Il rabdomiosarcoma che l’aveva colpita, uno dei più rari, con un’incidenza di 4,5 casi ogni milione di bambini, non ha protocolli di seconda linea. Ha frequenti recidive, e sulla recidiva non si sa ancora bene cosa fare. Così C. ha subito la terapia intensiva, la chemioterapia, un intervento, la radioterapia, ma poi il tumore è tornato più violento di prima e a quel punto è stato impossibile fermarlo. È guarito invece dal sarcoma di Ewing quest’anno D., un ragazzo che era arrivato in Italia dal Montenegro e che nel lungo periodo di cura che ha dovuto affrontare è stato ospitato con la sua famiglia a Bologna. La sua storia e quella degli altri ragazzi che prendono in tempo la malattia dimostra come non sia impossibile, guarire. E non c’entrano il caso, la fortuna, il destino. Servono più ricerca, più protocolli di cura, un investimento reale sulla diagnosi precoce. La giornata mondiale dei tumori infantili è nata per questo: per ricordarcelo. Per non lasciare soli quei bambini e quelle famiglie. Ageop – e le tante associazioni che come Ageop operano in Italia solo grazie a donazioni e buona volontà – è nata per questo. Quando Francesca Testoni ha perso Nicolò ha cominciato a lavorare per questo. Per tutti i genitori che come lei rimangono soli ad affrontare l’inaffrontabile: «Abbiamo leggi farraginose come la 104 che comunque valgono solo per i lavoratori dipendenti. Abbiamo norme per cui se perdi un figlio, hai diritto a tre giorni di lutto, poi devi tornare al lavoro. Abbiamo una società che non contempla tanto dolore, lo rimuove, non lo affronta, non si impegna e non investe per lenirlo». Ecco, tutto questo deve cambiare.

LA STAMPA

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