Il patto di stabilità e l’Italia ad alto rischio

Veronica De Romanis

Nei prossimi mesi, i governi dovranno trovare un accordo sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita, ossia le regole che limitano i deficit e i debiti degli Stati dell’Unione. Sul tavolo c’è la proposta elaborata dalla Commissione europea. Ma ciò non significa che si debba necessariamente partire da quel testo per la definizione di un compromesso. Su questo giornale, in diverse occasioni, è stato rilevato come la proposta presenti numerose criticità. Tra queste vale la pena elencare la poca trasparenza nei processi di valutazione sulla sostenibilità del debito, la mancanza di flessibilità nei piani di correzione delle finanze pubbliche, la scarsa considerazione del ruolo del ciclo economico, l’accresciuto potere delle Commissione e, infine, il ricorso a sanzioni reputazionali. C’è, tuttavia, un aspetto di cui si è parlato ancora poco sebbene – forse – rappresenti la maggiore criticità. La proposta prevede che i Paesi vengano suddivisi in tre categorie di rischio – alto, medio e basso – in base al livello del debito in rapporto al Prodotto interno lordo. Nella categoria ad alto rischio entrerebbero sicuramente l’Italia (147% del Pil) e la Grecia (177%). Sembra, invece, assai difficile che vi finiscano la Francia (112%), il Portogallo (115%), il Belgio (104%) o la Spagna (115%), non solo perché il debito è significativamente più basso ma anche perché hanno un rating migliore di quello ellenico o italiano. È comunque interessante provare a capire quali potrebbero essere le conseguenze dell’introduzione di un sistema ufficiale di bollinatura conferito dalla Commissione europea ai debiti dei Paesi membri – alcuni, come l’Italia e la Grecia, con il “bollino rosso” ed altri con un bollino arancione o verde – rispetto alla situazione attuale di pari trattamento.

Una prima considerazione attiene al programma di Quantitative easing (Qe) della Banca centrale europea (Bce). Ad oggi include i titoli della totalità degli Stati membri. In presenza delle categorie di rischio, potrà la Bce continuare ad acquistarli tutti indistintamente?

Una seconda fonte di preoccupazione riguarda la regolamentazione bancaria. Attualmente i titoli di Stato detenuti dalle banche vengono considerati uguali in termini di rischiosità, ai fini della ponderazione sul capitale. Una volta ottenuto il bollino rosso, la ricaduta sul sistema bancario, in particolare quello italiano, sarebbe immediata. Dovendo accantonare più capitale a fronte dell’aumentata rischiosità, le banche sarebbero costrette a dismettere sul mercato titoli di Stato, con l’effetto di deprezzarne il valore e di aumentarne i tassi d’interesse. Lo spread rispetto agli asset considerati meno rischiosi salirebbe. A questo proposito, val la pena ricordare, che in passato un simile scenario era già stato delineato. Persino auspicato quando, a fine 2015, l’allora ministro delle Finanze tedesche, Wolfgang Schaeuble, propose che i debiti degli Stati perdano la loro condizione di investimenti privi di rischio. Questa era la condizione posta per fare progressi verso una maggiore integrazione bancaria e dare il via libera a un sistema unico di assicurazione dei depositi bancari. Ossia un fondo comune europeo per tutelare i risparmiatori sotto centomila euro. L’idea di Schaeuble, per fortuna, fu rigettata. Ma potrebbe trovare nuova vita se passasse la proposta di classificazione della Commissione europea.

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