Il presidente La Russa e le parole come pietre
Elena Loewenthal
Dispiacere, disprezzo, disappunto, una punta di ribrezzo. Siamo fatti così, noi umani: un insieme di impulsi più o meno controllati, più o meno ansiosi di venire a galla ed esprimersi. Se non che, in sorte o per fortuna, abbiamo da qualche millennio a questa parte uno strabiliante strumento fatto per mediare, per definire il posto che ognuno di noi vuole occupare nel mondo, senza necessariamente usurpare o conquistare quello altrui. Questo strabiliante strumento è la parola, indispensabile per vivere in comunità e mettere ordine negli impulsi e nei pensieri.
La parola non è mai astratta, non è mai una voce nel vuoto: ha un suo peso specifico variabile che, proprio come il suono nello spazio cosmico, ha un suo timbro a seconda del vuoto o del pieno in cui si propaga. Le parole sono sempre un luogo da dove partono e uno in cui arrivano, come in un viaggio. Quello che fanno ogni tanto le parole del presidente del Senato, la seconda carica della nostra Repubblica, è lungo e breve al tempo stesso. Partono da una sede che non ha nulla di individuale, nulla di singolare nel senso che la seconda carica dello Stato parla inevitabilmente al plurale non per supponenza ma perché è tale in quanto rappresenta la pluralità, cioè il nostro popolo, la nostra storia, il presente che tutti affrontiamo giorno per giorno, e cadono con un tonfo sordo, un po’ straniante. «Il livello estetico (femminile, si presume) è diminuito», «se avessi un figlio gay sarebbe un piccolo dispiacere» (o «non lo accetterei»). Sono parole, è la voce di qualcuno che la pensa diversamente da molti e come molti altri: il pluralismo della democrazia è anche, soprattutto questo, cioè la pacifica convivenza di opinioni diverse. Per fortuna e per destino storico la libertà è ormai in questo nostro paese un bene primario e inalienabile. Il presidente del Senato ha tutto il diritto di esprimere quello che pensa, a titolo individuale, in registro di espressione personale. Ma pur avendo sempre un peso, le parole hanno un peso specifico sempre variabile, che molto dipende dal contesto. Diciamo dal pulpito. Laico o confessionale che sia. E fa un po’ strano che dal pulpito della seconda carica dello Stato vengano parole così. Di per sé lecite, financo innocue, se a titolo personale: il presidente La Russa se la vedrà lui e il figlio, che per fortuna sua non è gay, la carenza estetica della destra.
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