Spid a rischio chiusura ad aprile? Cosa succederà all’identità digitale
di Valentina Iorio
Ad aprile 2023 scadono le convenzioni per la gestione dello Spid. Ad essere precisi, gli accordi sono scaduti a fine 2022, ma l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) li ha prorogati d’ufficio fino ad aprile. Lunedì 20 febbraio il direttore generale di Agid, Francesco Paorici, ha incontrato le aziende che hanno ribadito le richieste avanzate nei giorni scorsi in una lettera ad Alessandro Musumeci, capo della segreteria tecnica del sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti. Il problema principale per i gestori sono i costi: le spese per i servizi di assistenza ai 33 milioni di cittadini e alle 12 mila Pubbliche Amministrazioni che hanno adottato il sistema sono ingenti e il governo non ha mai creato le condizioni per far sì che i privati adottassero lo Spid e creassero flussi di cassa per le aziende che gestiscono questo servizio.
Senza un accordo si rischia lo stop
In assenza di un accordo tra le parti, da fine aprile Spid potrebbe spegnersi definitivamente. Nella riunione con Agid, infatti, la posizione di Assocertificatori ha avuto il sostegno anche del restante 5% che non fa parte dell’associazione. Assocertificatori rappresenta i fornitori del 95% dei servizi digitali come Spid, Pec e firma elettronica. Tra i soci ci sono Aruba, Infocert e Poste, che da sola ha circa il 76% dei profili Spid rilasciati. «Vista la criticità che il servizio riveste, siamo disposti ad accettare un’ulteriore proroga di alcuni mesi, a patto che ci sia la volontà politica di affrontare il problema della sostenibilità economica del sistema. Siamo disponibili a collaborare per definire insieme una strategia», dichiara il presidente di Assocertificatori, Carmine Auletta, in un colloquio con il Corriere della Sera per fare chiarezza su quanto trapelato negli ultimi giorni.
Un fondo ad hoc per coprire costi e investimenti
«Quando è nato Spid, 8 anni fa, – ricorda Auletta – il legislatore aveva stabilito un principio: l’infrastruttura avrebbe dovuto essere gratuita per i cittadini e per la Pubblica Amministrazione e sarebbe stata finanziata con i flussi di cassa dei provider che avrebbero dovuto essere ripagati dalle transazioni dei privati. Abbiamo chiesto più volte di promuovere l’utilizzo dello Spid uso professionale e persona giuridica a pagamento, abbiamo proposto di creare un sistema di crediti di imposta per incentivare i service provider privati, ma non si è fatto nulla». Nella lettera al sottosegretario Butti, i gestori chiedono un fondo dedicato per coprire i costi del servizio e gli investimenti in innovazione. Inoltre, vogliono essere coinvolti nella strategia del governo per il futuro dell’identità digitale in Italia. A destare preoccupazione e qualche perplessità è la proposta di creare un sistema unico in cui far confluire Spid e carta di identità elettronica (Cie).
Un’unica identità digitale
Il sottosegretario all’Innovazione Butti lo scorso dicembre, in una lettera al Corriere, aveva assicurato: «Non vogliamo eliminare l’identità digitale, ma averne solamente una, nazionale e gestita dallo Stato, come quella che gli italiani portano nel loro portafogli dal 1931». Le ragioni, a detta dallo stesso Butti, sono quattro: semplificare la vita digitale dei cittadini, aumentare la sicurezza, rendere più accessibili i servizi digitali e, infine, risparmiare «perché Spid ha un costo per lo Stato». Sul fatto che la Cie sia più sicura ed efficace dello Spid, le aziende nutrono dei dubbi. Già il fatto che con la Cie serva una carta fisica per accedere al mondo digitale secondo il presidente di Assocertificatori è «anacronistico, in un periodo storico in cui le carte di credito si smaterializzano per confluire all’interno del nostro smartphone». Nei giorni scorsi si è parlato di un bando di gara già a marzo per la nuova app unificata. Ipotesi che non viene confermata dal Dipartimento per la trasformazione digitale. «Abbiamo scritto al sottosegretario per presentare le nostre istanze e quello che ora ci attendiamo è una risposta nel merito. Ci auguriamo che si possa trovare un’intesa nell’interesse dei milioni di utenti che usano questo servizio», dice Auletta.
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