Il mio eroe antipatico
Signor Zelensky,
non credo che avrà né il tempo né la voglia di ascoltare i mugugni di
uno scribacchino che allo scoppio della guerra, un anno fa, le dedicò questo elogio:
«L’uomo che si è spostato da un set a un bunker senza mai smettere di
essere il Presidente: prima per finta e poi sul serio, in un crescendo
che dal comico è passato al drammatico e adesso sfiora addirittura
l’epico».
Come tanti altri italiani non ho cambiato idea,
continuo a considerare eroica la sua decisione di resistere sotto le
bombe e a non condividere la posizione di chi, proclamandosi
equidistante, in nome del quieto vivere accetterebbe di darla vinta a
Putin.
Però proprio il fatto di averla sempre sostenuta mi
spinge a darle un affettuoso consiglio non richiesto. La smetta di farci
sentire perennemente in colpa, che è l’atteggiamento tipico dei manipolatori.
E
la smetta di considerare tutto per dovuto, mostrando di sottovalutare
le conseguenze che certe sue parole hanno sui suoi amici. Per esempio,
quando durante la conferenza stampa ha sparato a palle incatenate contro l’ingestibile Berlusconi, ha pensato per un attimo che stava mettendo in imbarazzo un governo alleato?
Le
ragioni che la spingono a sovraesporsi sono più che comprensibili, ma
le assicuro che dopo un anno cominciano a sortire l’effetto opposto.
Presidente Zelensky, lei rimane il mio eroe, ma corre il rischio di diventare meno popolare della causa del suo popolo. E sarebbe un vero peccato.
CORRIERE.IT