Putin ci trascina nella terra inumana
MASSIMO GIANNINI
Grazie, signor Putin. Nei dodici mesi che sconvolsero il mondo, la sua mostruosa Operazione Militare Speciale ci ha regalato una sporca guerra novecentesca, che rischia di trasformare il pianeta nella “Terra inumana” attraversata più di ottant’anni fa da Josef Czapski, testimone degli orrori perpetrati dal nazismo e dal comunismo in quel lembo d’Europa sospeso tra Oriente e Occidente. Le raffiche dei vecchissimi Tank-72 sovietici e dei modernissimi droni iraniani Orlan 10. La pioggia dei missili S-300 e degli ipersonici Iskander. I massacri, le torture, gli stupri commessi dai 300 mila soldati russi tra Kherson e Bucha, Kharkiv e Bakhmut. Con questa paurosa forza di fuoco, Putin ha trasformato l’Ucraina in un “piccolo angolo di inferno”, come Anna Politkovskaja definiva la Cecenia nei suoi memorabili reportage sull’analoga, terribile cura che il Dottor Stranamore di Mosca inflisse a quella povera enclave musulmana tra il 1999 e il 2006.
Nel primo anno della sua “guerra patriottica 2.0”, che ripercorriamo insieme a voi con questo inserto speciale di 32 pagine, il nuovo Zar ha inaugurato una nuova era di Disordine Mondiale. Non che quello precedente fosse Ordine. Ma certo ci allarma l’idea che al Cremlino abiti un aspirante Piccolo Padre che riesuma non il delirio di onnipotenza staliniano ma addirittura il progetto imperiale della Santa Madre Russia. E ci angoscia il pensiero che un ex grigio funzionario del Kgb faccia rifiorire il suo sogno panslavo col ferro e col fuoco, proprio in quella Rus’ di Kiev dove Vladimir I detto il Santo e Jaroslav I detto il Saggio lo cullarono per primi intorno all’anno Mille.
Dirà la Storia se e quanto l’Occidente abbia peccato in questi decenni. Nel non comprendere il senso delle cose, dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine del comunismo. Nel non disinnescare la rabbia di un popolo impoverito e umiliato, ma nutrito di furore ideologico e di rancore nazionalistico. Nel non valutare le atroci prove tecniche di espansionismo eurasiatico sperimentate da Putin negli ultimi vent’anni in Cecenia, in Crimea, in Siria. Nel non denunciare le feroci pratiche repressive messe in atto dal suo regime e dai suoi siloviki nei confronti dei cittadini comuni, dei dissidenti e degli oppositori interni. Oggi in Ucraina siamo di fronte a quella che Lucio Caracciolo chiama la “macelleria infinita”. E abbiamo finalmente capito quello che lo stesso Grande Dittatore dice ormai apertamente, parlando all’Assemblea Federale moscovita: «Un anno fa, al fine di proteggere le persone nelle nostre terre storiche, per garantire la sicurezza del nostro Paese, per eliminare la minaccia rappresentata dal regime neonazista emerso in Ucraina dopo il colpo di stato del 2014, è stata presa la decisione di condurre un’operazione militare speciale. E passo dopo passo, con attenzione e coerenza, porteremo a termine i compiti davanti a noi».
Dunque, Putin riscrive la verità storica a suo uso e consumo. Ne rovescia il corso, il senso, l’esito. E ora noi non possiamo più fare finta di nulla, in nome di un irenico neutralismo. Perché il vero nemico dell’autoproclamato Zar non è Volodymyr Zelensky, lo strenuo comandante in maglietta verde che insieme alla sua gente gli ha impedito il Blitzkrieg e oggi resiste eroicamente. Il vero nemico siamo noi occidentali, colpevoli di «una crudele menzogna». Siamo stati noi, secondo la bugiarda narrazione putiniana, «ad aver scatenato la guerra». È l’Occidente, corrotto e decadente, che a suo tempo «ha aperto la strada ai nazisti al potere in Germania», e che oggi ha fatto della «russofobia e del nazionalismo estremamente aggressivo la sua base ideologica». È l’Occidente, cinico e falso, che «sta usando l’Ucraina sia come ariete contro la Russia, sia come campo di addestramento». La Russia no, la Russia non c’entra: patria della tradizione millenaria, custode dei valori della vera religione incarnata dal patriarca Kirill, la Russia «non è in guerra col popolo ucraino», che è invece «ostaggio del regime di Kiev e dei suoi padroni occidentali».
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