Carofiglio: “Il mio dilemma sulla leadership, la sinistra ora pensi alla dignità”
Il concetto di merito ha dominato anche una lunga stagione del Pd, soprattutto con Matteo Renzi.
«È
stata ed è un’illusione insidiosa. Ma il merito individuale non può
prevalere sulle ingiustizie strutturali. Conta dove sei nato, con che
patrimonio genetico, in che scuola sei potuto andare, se la tua vita è
stata investita da guerre, alluvioni, terremoti. La politica della
sinistra e del progresso non è più il socialismo, la contrapposizione
capitale-lavoro. Adesso la sinistra deve farsi carico di un sistema che
ha in sé le condizioni dell’ingiustizia e di lesione della dignità
umana».
Gli elettori del Pd sono chiamati a fare una scelta. Stefano
Bonaccini ha una visione più pragmatica e moderata, Elly Schlein è una
candidatura più di rottura. Perché non andare a indicare una strada?
«Le
spiego i miei dubbi. Se viene eletto Bonaccini c’è il rischio che un
pezzo di mondo, più giovane, meno strutturato, si senta escluso. D’altro
canto, il presidente dell’Emilia-Romagna dà la sensazione di poter
andare alla ricerca di accordi a oggi indispensabili. Su Schlein, che
conosco e stimo, ho perplessità di metodo: candidarsi a segretaria senza
essere stata iscritta fino al giorno prima mi è sembrato strano. Se
vincesse potrebbe attirare una platea inattesa e silente, col rischio
però che si interrompano i canali di comunicazione con forze più di
centro. Si potrebbe reiterare una sorta di vocazione minoritaria, una
coazione a perdere. Mentre bisogna voler vincere con tutti i mezzi
leciti, nella consapevolezza che il sistema implica la ricerca di
compromessi. È una parola sana, compromesso, gravemente e ingiustamente
danneggiata. Significa promettere insieme».
Ha letto le parole di Valditara contro la lettera antifascista della preside Annalisa Savino?
«Ho
trovato inquietante la minaccia. Il ministro dopo lo scivolone delle
umiliazioni in classe ha perso un’altra occasione per tacere. Non credo
ci sia un pericolo fascista e credo sia addirittura positivo che un
ministro di destra e una dirigente non di destra esprimano opinioni
diverse. Ma la violenza felpata delle parole “vediamo se continua” è
inaccettabile».
C’è un tentativo incessante di riscrittura della storia da parte di questa maggioranza?
«C’è,
in maniera goffa e con scarsezza di strumenti culturali, il tentativo
di riscrivere alcuni snodi nevralgici della storia e quindi di cambiarne
il significato. A partire dall’essere italiani in una Repubblica nata
dalla resistenza ai nazifascisti. Serve una vigilanza culturale e
politica che abbiamo tutti i mezzi per compiere, compresa l’ironia. Ma
non bisogna commettere l’errore di immaginare a breve termine un futuro
autoritario dal punto di vista delle istituzioni e della cultura, perché
si rischia di fare come nell’ultima campagna elettorale, agitando uno
spettro cui non crede nessuno».
Quale doveva essere il messaggio del centrosinistra contro la destra di Meloni?
«Dire:
non crediamo che tu sia fascista, che FdI sia un partito fascista,
anche se crediamo che al suo interno ci sia qualche fascista. Quel che
pensiamo è che sia un partito che guarda al passato, mentre noi siamo le
forze del progresso e del futuro».
Non è andata così. Ha apprezzato le lodi a Meloni di Letta e Bonaccini?
«Penso
ci sia stato qualche eccesso nel tono di quegli elogi. Le doti
politiche di Meloni non sono in discussione. Dicono sia personalmente
simpatica e sembra credere in quel che fa, ma la sua cultura politica è
profondamente di destra. Tanto da mettere davanti a tutto la tutela
delle amicizie personali, lanciandosi in difese dal mio punto di vista
assurde».
Non doveva difendere Delmastro e Donzelli?
«Sono indifendibili, hanno dimostrato un’insipienza politica altissima, bersagli facili che le daranno ancora problemi».
Ha ragione Nordio quando dice che è lui a decidere cos’è segreto nel suo ministero e cosa no?
«Quel
che ha detto è privo di senso giuridico. Non è il ministro a decidere,
ma le leggi, che ai magistrati spetta interpretare. Nordio ha un
problema con i magistrati e la magistratura che lo porta a fare uscite
di grande debolezza».
Nel suo Dilemmi ci sono due persone che dibattono su
temi spinosi seguendo regole precise – nella prima puntata il sesso a
pagamento, poi il carcere, la maternità surrogata – ma non ha toccato il
tema della guerra, che per la sinistra sta diventando un nuovo tabù.
«La
mia opinione sull’aggressione della Russia in Ucraina è che
dolorosamente bisogna andare avanti così. Credo però sia necessario ci
siano voci critiche, anche se a volte non coerenti fra premesse e
conclusioni, per evitare ci si abitui a ciò che anche se doveroso, resta
scandaloso: la risoluzione del conflitto attraverso le armi. Non
bisogna guardare con disprezzo o diffidenza chi esprime opinioni contro
l’invio di aiuti militari. Il dilemma però in questo caso è: se si
smette di mandarli, cosa succede?».
Dubito che la conseguenza per l’Ucraina sia la pace.
«Appunto».
Come si esce da queste contrapposizioni che negano la legittimità dell’idea altrui?
«La tecnica è la carità interpretativa, premessa etica ed epistemologica del vero dialogo. Bisogna partire dal presupposto che l’altro, anche se dice qualcosa per te inaccettabile, lo faccia in buona fede. In Dilemmi il duello dialettico ha regole precise: capita che la discussione si accenda, ma non travalica mai e a volte si trovano perfino dei punti di incontro tra posizioni apparentemente inconciliabili. Quest’anno ci sarà anche la musica, con Frida Bollani Magoni che a ogni puntata canterà una cover inerente alla puntata. E le mie chiacchierate con i librai, una delle istituzioni culturali più importanti di questo Paese».
LA STAMPA
Pages: 1 2