Maurizio Costanzo, l’ultimo show

Ha lavorato fino alla fine, Maurizio Costanzo, perché per lui la morte vera, quella che ti coglie prima del tuo tempo, è sempre stata la noia. Ed è stata anche questa insofferenza che lo ha reso quello che è stato e che ancora è, perché è complicato immaginare il nostro piccolo mondo senza la sua voce che fa capolino da ogni mezzo di comunicazione possibile. Oggi e domani la camera ardente sarà allestita in Campidoglio, lunedì i funerali nella Chiesa degli Artisti in Piazza del Popolo. Autore per il teatro e la televisione, paroliere, sceneggiatore, regista, scrittore, attore, professore all’Università e naturalmente conduttore televisivo e radiofonico. Un curriculum iniziato giovanissimo, a soli 17 anni, con un diploma da ragioniere in tasca, e una collaborazione con l’edizione serale di un quotidiano romano, Paese Sera, dove gli affidarono una piccola rubrica sugli intellettuali e lo sport, grazie alla quale conobbe anche Pier Paolo Pasolini.

Il sogno del giornalismo realizzato con i consigli di Indro Montanelli, a cui scrisse, ancora sui banchi di scuola e che è sempre rimasto per lui un punto di riferimento importante, soprattutto nei tempi bui, quelli dello scandalo P2, «l’unico errore della mia vita», come diceva spesso Costanzo. Unico, certo, ma imponente, in grado di spezzare la vita, non solo una carriera. Ma non quella di un uomo che aveva una determinazione e un sogno capaci di portarlo via dalle secche. Quando lo intervistavi, questo capitolo era sempre lì, pronto a emergere dal passato e così era lui che lo anticipava, senza tentare giustificazioni impossibili con l’intelligenza di chi riconosce gli errori e sa anche superarli.

Quando esplode lo scandalo Costanzo è già un giornalista affermato: dopo Paese Sera era andato a Genova al Corriere Mercantile e poi a TV Sorrisi e Canzoni, e nel 1963 alla Rai, dove esordisce alla radio come autore per il programma Canzoni e nuvole di Nunzio Filogamo. Nel 1976 aveva raggiunto la grande popolarità conducendo il talk show Bontà loro ma sempre famelico di nuove sfide nel 1978 accettò di dirigere la Domenica del Corriere e nel 1980 fondò L’Occhio, portando il format del giornale popolare, sul modello inglese, in edicola. Il riferimento era il Daily Mirror, con foto e titoli gridati, e anche battaglie populiste, come la pena di morte nei giorni del sequestro del magistrato Giovanni D’Urso. Un esperimento durato poco e che si concluse per colpa, anche, dello scandalo della P2, la loggia massonica di Licio Gelli a cui risultarono iscritti i vertici del gruppo editoriale (il presidente Angelo Rizzoli, nipote del fondatore, e l’amministratore Bruno Tassan Din), ma anche il direttore del Corriere della sera Franco Di Bella e lo stesso Costanzo che pochi mesi prima, il 5 ottobre 1980, aveva per di più firmato in terza pagina sul Corriere un’intervista accondiscendente proprio a Gelli.

Iniziò da qui un momento buio in cui, il telefono a casa non suonava più. Poi lo squillo che cambiò tutto. «Non lo dimenticherò mai», ha raccontato Costanzo. Dall’altra parte della cornetta c’era Sergio Zavoli. «Mi disse: la vuoi smettere di fare l’ambasciatore a San Marino? Mi spronò a riprendere, a rimettermi al lavoro. Ricominciai da zero. Da Videolina a Cagliari e da una tv di San Benedetto del Tronto, facevo le interviste lì». Una nuova gavetta insomma. Ma durò poco, perché il 14 settembre 1982, su Rete 4 va in onda la prima puntata del Maurizio Costanzo Show, trasmesso prima dal Sistina e poi dal Parioli. «Io peraltro l’ho sempre vissuto come un evento teatrale, con personaggi che si scontrano o si amano», spiegava Costanzo che su quel palco crea personaggi, uno fra tutti Vittorio Sgarbi. Le notizie serie e quelle frivole, il gossip e le battaglie civili, le storie umane, il cabaret, un palco che accoglie tutto e tutti e che in fondo non è altro che la rappresentazione di quello che sarebbe potuto essere il quotidiano L’Occhio. In quello show si parla molto anche di mafia, soprattutto dal 1991 dopo l’omicidio dell’imprenditore palermitano Libero Grassi. Costanzo lanciò una campagna contro la criminalità organizzata, per sensibilizzare coscienze, sollecitare le istituzioni, dare voce ai giudici che rischiavano ogni giorno la vita in prima linea, come Giovanni Falcone che salì diverse volte su quel palco. In una puntata Costanzo bruciò una maglietta con la scritta «Mafia made in Italy».

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