Perché l’Italia ha bisogno del Partito Democratico
È fatale, con queste premesse, che chiusa la parentesi feconda dell’Ulivo e dell’ingresso nell’euro il Pd abbia rotto i rapporti con la realtà, conquistando la borghesia e perdendosi il popolo. Abbia sbagliato la lettura della modernità, cavalcando i mercati globali e scaricando i mercati rionali. Abbia inseguito la contemporaneità, inneggiando alle conquiste civili e snobbando le questioni sociali. Una svolta decisiva con Letta l’ha compiuta, e gliene va dato atto: ha virato definitivamente la prua verso Occidente, professando chiara fedeltà euroatlantica nell’ora più buia della sporca guerra di Putin. Ma per il resto, a forza di Terze Vie e Jobs Act, rottamazioni e delocalizzazioni, la sinistra ha scordato il lavoro, non ha visto esplodere il precariato di massa, non ha compreso il dramma della disoccupazione giovanile e della sottoccupazione femminile. Ha lasciato il Reddito di Cittadinanza e ceduto il monopolio della povertà a Di Maio, Conte e Casalino. Ha creduto nella “cetomedizzazione” del proletariato, senza accorgersi che le tre crisi d’epoca (il crac finanziario del 2008, il Covid del 2020 e ora l’emergenza bellica) hanno invece proletarizzato il ceto medio. Ha scambiato temi “popolari” per stilemi populisti, banchettando a tavola coi tecnici di turno e buttando via tutti gli avanzi nel cassonetto dell’indifferenziata. Ha invocato genericamente “diritti”, che a sinistra è ormai il vacuo mantra di chi non sa cosa dire: senza alcuno sforzo concreto per metterli a terra e spiegare come si bilanciano, nella pratica, salute e libertà, lavoro e impresa, identità sessuale e famiglia, inizio e fine vita. “Un vago giusnaturalismo senza leggi positive”, scrive Massimo Cacciari, e meglio di così non si può dire.
Ora c’è chi vorrebbe far “tornare” il Pd, ma non sa più bene dove, perché il Sol dell’avvenire sorgerebbe avanti e non indietro. Così, mentre la destra governa, protegge e ricicla Dio-Patria-Famiglia, la sinistra vaga nel non-luogo cosmico. E nel “vuoto di idee” di cui parla Aldo Schiavone, e in cui ha perso “il cervello assai prima del cuore” (“Sinistra, un manifesto”, Einaudi), il partito celebra infine questo talent show delle primarie. La campagna elettorale non ha svegliato cervelli né scaldato cuori. Doveva nascere una nuova “carta dei valori” condivisa, per dosare radicalità e riformismo, dire sì o no al salario minimo, ai fondi alla Guardia Costiera libica, alla schiavitù dell’algoritmo per i rider. Ma niente da fare, la piattaforma comune non c’è. Ci sono invece i due sfidanti, Bonaccini e Schlein, che cercano di non farsi male tra loro, guidano insieme quel gran pezzo dell’Emilia ma incarnano due modelli diversi. Lui, pragmatico e moderato, è il “partito dei territori” (articolato nella trama solida dei cacicchi locali). Lei, movimentista e ambientalista, è il “partito delle soggettività” (liofilizzato nel flusso liquido dei mutamenti culturali). Lui è favorito tra gli iscritti e nei circoli: rassicura le nomenklature, anche se Togliatti diceva che chi amministra la Regione Rossa non può governare l’Italia. Lei può sfondare nei gazebo: è donna, è giovane, anche se a sinistra l’esempio meloniano non sembra maturo, chissà mai perché. Chiunque vinca deve sapere due cose. La prima: il Pd ha di fronte una lunghissima e durissima traversata nel deserto, chi oggi vince le primarie difficilmente sarà anche il futuro candidato premier, dunque non servono personalismi ma solo umiltà e generosità. La seconda: incassata la sconfitta ma scongiurata la scomparsa, adesso per il Pd conta solo ripensare un’identità politico-culturale e ricostruire un blocco sociale di riferimento, mentre è inutile farsi il sangue amaro per decidere se baciare o no il rospo pentastellato, visto che alle Europee del 2024 si voterà col proporzionale e ognuno andrà per conto suo.
Con tutti i suoi errori, le sue incertezze strategiche e le sue indecisioni tattiche, il Pd resta un partito fondamentale per la vita democratica del Paese. Per questo tutti gli italiani, compresi quelli che votano a destra, devono sperare che le primarie abbiano successo e l’opposizione si riorganizzi. Mentre quelli che votano a sinistra, come scriveva il poeta e padre nobile Franco Fortini, devono sperare che “tutto non è finito” e che “i giorni/ persi a noi giusti/ torneranno liberi”. Ma stavolta, se non si vuole sciogliere, la sinistra deve cominciare a scegliere.
LA STAMPA
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