I dannosi timori italiani sulla concorrenza

di Ferruccio de Bortoli

La legislazione comunitaria è stata fermata per ora sul «bagnasciuga». Il termine porta male. L’emendamento al decreto Milleproroghe — che ha sollevato le obiezioni del Quirinale — crea sulle concessioni balneari una situazione paradossale. I Comuni possono procedere con i bandi, così come previsto dalla legge sulla concorrenza che, ricordiamo, è indispensabile per avere tutti i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ma il rinvio della mappatura e l’estensione degli attuali contratti al 31 dicembre 2024 pongono rilevanti interrogativi sulla compatibilità con il diritto europeo.

Il rischio di una procedura d’infrazione da parte di Bruxelles indebolisce il nostro potere negoziale su fronti assai più complessi: dal nuovo patto di stabilità alla spinosa questione degli aiuti pubblici all’industria. La giurisprudenza, con le pronunce del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione, è chiara.

Il «bagnasciuga» è un argine illusorio, ma politicamente utile. Risponde alle attese di una parte dell’elettorato, di una delle tante lobby, corporazioni del nostro Paese. Piccola però, ve ne sono tante altre. Più potenti e meno visibili. Le imprese che gestiscono, su spiagge demaniali, gli stabilimenti vanno salvaguardate — e la normativa dà garanzie adeguate — nella tutela degli investimenti e nel riconoscimento di avviamenti decennali. Ma non è giusto — anzi diciamo è un vero scandalo — che tutti insieme paghino, nonostante gli aumenti previsti dei canoni, poco più di 100 milioni l’anno, 6 mila euro a chilometro quadrato. La sola galleria Vittorio Emanuele rende in affitti, al Comune di Milano, 65 milioni l’anno.

Se i proprietari delle spiagge fossero dei privati, magari con la parcellizzazione tipica dei terreni agricoli, avremmo l’insurrezione di chi si sente impoverito dalla scarsa valorizzazione dei propri diritti. Lo Stato siamo tutti noi. Ma pensate soltanto, per un istante, se tutto il resto dell’economia fosse regolato dallo stesso principio — lunghe concessioni, trasmesse di padre in figlio — ci ritroveremmo ancora immersi in una sorta di Medioevo. Ha qualche ragione però chi teme che mettendo a bando le concessioni possano vincere società multinazionali che nulla hanno a che vedere con le comunità locali. Sì, ma si può obiettare che favorire le aggregazioni territoriali o nazionali e creare società in grado di esportare un modello gestionale di successo, aprirebbe al made in Italy altri e forse persino più redditizi mercati. Se invece ci si limita a una semplice protezione corporativa — come è avvenuto per il settore alberghiero dove vi sono quasi solo giganti esteri — si prolunga solo il declino degli operatori minori senza aiutarli a crescere. Chi ha saputo per tempo organizzarsi, per esempio nel commercio al dettaglio, è diventato socio di catene più grandi, innovative e redditizie (anche nazionali), con non trascurabili vantaggi per i clienti e i consumatori.

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