Se un selfie ferisce il dolore

Paolo Giordano

Se un selfie ferisce il dolore

Lei educata, quasi impietrita dal dolore. Loro indifferenti al servizio del totem più adorato degli ultimi anni. Ieri alcune persone hanno chiesto un selfie a Maria De Filippi nella camera ardente di Maurizio Costanzo. La fila per entrare nella Protomoteca in Campidoglio, un omaggio alla bara e poi la richiesta senza pudore. Facciamo un selfie? La signora ha accettato senza protestare, senza lamentarsi, senza eccepire che quella non era la situazione giusta, che non era il luogo ideale, che il dolore si rispetta. Il dolore è il porto franco della celebrità. Anche se uno è famoso e ha il massimo della riconoscenza e dell’affetto per i propri fan, in quel momento no, nel momento del dolore ha diritto di rimanere con se stesso. Essere famosi non significa essere di tutti sempre. Ci sono momenti nei quali no. Magari senza volerlo, chi ha preso il cellulare per la fatidica foto ha superato la frontiera della convivenza civile. Chiedere un selfie a chi vive un dolore immenso e cerca tiepida consolazione nell’abbraccio del pubblico che ama l’amato è uno sberleffo al buon senso, oltre che una violazione dello stesso codice dell’esposizione della salma alla visita di parenti e amici. La camera ardente è un «non luogo» dove necessariamente si incontrano dolore, silenzio, rispetto e basta. Non è ammesso altro. Non a caso si chiama «camera ardente» perché già ai tempi di Roma antica si collocavano fiaccole e candele per creare un ambiente raccolto e silenzioso che consentisse l’ultimo saluto a chi se ne sta andando per sempre. Ma il totem del selfie evidentemente va oltre, drammaticamente oltre. Non per tutti, per carità, solo per qualcuno, ma non è comunque un bel segnale.

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