Maurizio Costanzo, intelligente e potente: ognuno di noi gli deve qualcosa (ecco perché)
Bastava una sua battuta in un romanesco sminuzzato per far aprire una persona e un mondo. Lanciò Sgarbi e Maria De Filippi, forse l’uomo e la donna più conosciuti d’Italia
Come Molière, Maurizio Costanzo è morto in scena. O, se si preferisce un’espressione di Renzo Piano, è morto nel cantiere. Senza mai smettere di lavorare; che per lui significava vivere.
Ha fatto un sacco di cose, quasi tutte (anche se non tutte) molto bene. Fu il primo a invitare in televisione i capi del partito comunista. A Bontà loro chiedeva a ogni ospite: «Cosa c’è dietro l’angolo?». Giancarlo Pajetta rispose: «Un altro angolo». Il suo grande rivale Giorgio Amendola, ingelosito, volle essere intervistato pure lui.
Scrisse Una giornata particolare per Scola e Se telefonando per Mina. Lavorò a Paese Sera con Mughini e Dario Argento, firmando Maurice Costance per far credere di essere francese. Inventò un genere, la tv popolare, parlando pochissimo: bastava una sua battuta in un romanesco sminuzzato per far aprire una persona e un mondo. Si iscrisse alla P2, diresse un giornale della Rizzoli piduista, ma a differenza di altri ammise di aver sbagliato. Inventò Vittorio Sgarbi e Maria De Filippi , forse l’uomo e la donna più conosciuti d’Italia. Distrusse Pippo Baudo divenuto improvvidamente direttore di Canale 5; il vero capo di Canale 5 era lui; i rapporti di forza furono presto ristabiliti. Introdusse Giovanni Falcone al grande pubblico. La mafia tentò di ammazzarlo.
Di oltre mezzo secolo di carriera, quello fu il momento più tragico e nello stesso tempo epico. Lui era convinto di essere stato salvato da suo padre, anzi da «papà mio», come diceva in romanesco. Totò Riina sentenziò: «Questo Costanzo mi ha rotto». Cominciarono a pedinarlo, a spedirgli lettere anonime, ma non ci fece caso. Una sera, nascosto tra il pubblico, venne Matteo Messina Denaro, per studiare il teatro Parioli. La bomba esplose la sera del 14 maggio 1993. «Fu un miracolo. Il mio autista mi aveva chiesto un giorno libero, e l’avevo sostituito con un altro, che conosceva meno bene la strada. Esitò al momento di girare in via Fauro, e questo confuse il killer che doveva azionare il detonatore. Sentimmo un botto pazzesco. Tra me e Maria passò un infisso. Tornammo subito a casa. Il telefono stava squillando: era Nicola Mancino, il ministro dell’Interno. Poi arrivarono poliziotti, carabinieri… solo allora realizzai di essere un sopravvissuto. Per fortuna papà mio ci mise una mano sulla testa».
Il padre morì che Maurizio aveva ventidue anni. Il suo grande rimpianto era che non avesse potuto vedere quello che aveva fatto. «Ogni mattina al risveglio penso a papà mio. È come un angelo protettore. Spero tanto di rivedere lui e la mamma». Quindi crede nell’Aldilà? «Ci spero. Credo un po’ anche alla reincarnazione: da secoli siamo sempre gli stessi. Io ad esempio penso di essere stato un monsignore. Ma mi sarebbe piaciuto vivere a Betlemme, e veder arrivare i Re Magi».
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