Case di riposo, in Lombardia l’anziano o paga o si arrangia
Cosa c’è
Sono 58.355 i posti letto nelle case di riposo dove la Regione si fa carico dei 50 euro al giorno della quota sanitaria (cifra variabile in base alla gravità dell’ospite). Le famiglie pagano in aggiunta la quota alberghiera che va dai 67 ai 77 euro in media al giorno a seconda della città (a Milano si superano i 97 euro), vale a dire almeno 2.100 euro mensili. Il fabbisogno stimato è di 7 posti ogni 100 over 75, oggi ce ne sono 5,3. Dal 2015 il numero è cresciuto solo di 481 letti, mentre gli over 75 in più sono 110 mila: vuol dire che la disponibilità ogni 100 anziani già risicata non si è mantenuta nel tempo ma è addirittura diminuita (-0,45%). Conseguenza: le famiglie spesso devono attendere a lungo il posto. Nell’ultimo triennio pre-Covid (2017, 2018, 2019) l’attesa media è di oltre 4 mesi e mezzo e c’è la certezza che si tornerà a questi livelli. Chi riesce a entrare lo fa in condizioni sempre più gravi, tant’è che la degenza media è di 12 mesi. Chi può permetterselo si rivolge alle strutture dove la quota da pagare è completamente a carico dell’ospite: in media 90 euro al giorno, con una spesa mensile di almeno 3.000 euro. Qui di solito non c’è nessuna attesa e i posti a disposizione oggi sono 4.078, quasi raddoppiati rispetto al 2015.
Cosa non va bene
Primo problema: come dimostra un plico di documenti riservati raccolti da Dataroom, e incrociati con numerose testimonianze sul campo, Regione Lombardia non tiene monitorate le richieste di posti nelle case di riposo. Vuol dire che non sa quante persone davvero ci sono in lista di attesa e qual è dunque l’ipotetico fabbisogno di letti. Dai calcoli di Dataroom è verosimile che pre-Covid ci fossero in lista di attesa almeno 26 mila anziani. Invece a inizio 2023 in un documento ufficiale all’interno di una contesa giudiziaria la Regione conta 103.860 utenti nel 2019 in attesa di un posto.
È un dato costruito sommando le persone in attesa in ogni casa di riposo, senza preoccuparsi di verificare (e quindi eliminare) chi si è messo in lista contemporaneamente in più strutture, o purtroppo nel frattempo è deceduto. In sostanza Regione Lombardia, in un documento ufficiale, ha riportato dei numeri palesemente sbagliati. Questo dimostra che non c’è interesse a capire il problema, e quindi a risolverlo. Risultato: non può fare e non fa nessuna programmazione. E le liste di attesa sono destinate a restare.
Secondo problema: quel che interessa a Regione Lombardia è non fare lievitare la spesa pubblica oggi a quota 960 milioni di euro all’anno. Del resto le risorse non sono infinite e non è possibile pagare tutto a tutti, e dunque un tetto al budget è comprensibile. Un sistema equo dovrebbe però filtrare le richieste per privilegiare a spese pubbliche chi è in condizioni più gravi. È quello che fa per esempio il Veneto: valuta le condizioni di salute di chi fa domanda per entrare in una casa di riposo e, in presenza di determinati requisiti, gli dà un voucher con il quale l’anziano paga la casa di riposo che si è scelto. Invece Regione Lombardia per pagarti meno di metà della retta ti costringe ad andare solo in determinate Rsa, senza fare alcuna valutazione né certificazione del bisogno dell’anziano.
Terzo problema: in Regione Lombardia le case di riposo «a contratto» sono sempre le stesse da anni e si vedono assicurate un business certo da 2,5 miliardi l’anno senza nessun vantaggio per chi offre servizi di qualità o penalizzazione per chi non lo fa. Già nel 2012 in un documento ufficiale (qui, allegato 3, pagina 2) viene ammesso: «Uno dei limiti principali è rappresentato dal criterio della spesa storica (do gli stessi soldi sempre agli stessi, ndr) e dalla mancanza di considerazione di altri fattori di valutazione come la qualità delle prestazioni e i fabbisogni effettivi del territorio». La riforma regionale del 2015 andava in questa direzione, ma è stata bloccata.
Il coraggio delle scelte
Ora che Attilio Fontana e la sua squadra sono stati rieletti con un mandato forte del 55% di voti e hanno cinque anni davanti c’è da sperare che mettano mano alla questione. Per essere davvero dalla parte di chi ha più bisogno, e per rispettare la legge. Il Ddl concorrenza dell’agosto infatti 2022 dice: «La selezione (delle strutture private, ndr) deve essere effettuata periodicamente tenuto conto della programmazione sanitaria regionale e sulla base di verifiche delle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete in convenzionamento e, per i soggetti già titolari di accordi contrattuali, dell’attività svolta» (articolo 15, comma 1, lettera b).
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