L’Europa costretta a rischiare

Un elemento che indebolisce l’Europa è dato dal fatto che una parte dell’opinione pubblica europea (in Italia è più forte che altrove) è impreparata a fronteggiare i rischi crescenti connessi alla nascita di un mondo multipolare. Possiamo distinguere due categorie: quelli che non hanno capito niente e quelli che hanno capito fin troppo. I primi credono di vivere nel Paese dei balocchi, pensano che Zelensky sia un rompiscatole, pensano che se anche in Ucraina vincessero i russi niente cambierebbe nelle loro vite e in quelle dei loro cari. Credono che la pace di cui godono sia una sorta di condizione naturale che nessuno potrà loro sottrarre, pensano che guerra, oppressione e violenza riguardino altri, che non possano esserne neanche sfiorati. Non hanno mai capito che la loro pace e la loro libertà è stata garantita, dal ’45 ad oggi, dalla Nato. In più, sono quelli che «Franza o Spagna», quelli che pensano che nulla di cattivo potrebbe loro succedere se, vincitore Putin in Ucraina, e in ritirata l’America, la Russia estendesse la sua influenza su un’Europa occidentale fragile, divisa, manipolabile. Né pensano che, se andasse in pezzi la Nato, l’insicurezza collettiva crescerebbe ovunque, anche nei Balcani e nel Mediterraneo. Con l’Italia, per inciso, in prima fila fra i Paesi minacciati.

Poi ci sono quelli che hanno invece capito tutto. Sono i nemici occidentali della società occidentale. Detestano, e hanno sempre detestato, il capitalismo, l’individualismo, la nostra «falsa democrazia». Ai tempi della Guerra fredda non vollero mai rispondere a una domanda: perché il muro di Berlino non serviva per impedire ai tedeschi occidentali di «fuggire» ad est, per impedire loro di scappare dall’inferno capitalista? Sono quelli che sperano che russi e cinesi abbiano ragione, che sia cominciato davvero il conto alla rovescia, che l’Europa riuscirà finalmente, prima o poi, a sbarazzarsi della tutela americana. Si ostinano a non chiedersi come sarebbe stata la loro personale esistenza se anziché vivere nella «falsa democrazia» occidentale, ove il potere del governo è limitato e bilanciato da altri poteri, fosse loro toccato in sorte di sottostare al potere illimitato e concentrato di un despota e della sua cricca.

Il futuro, come sempre, è aperto. Le sfide che abbiamo di fronte sono tante. La più urgente è convincere gli europei che non viviamo nel Paese dei balocchi, che pace, libertà e prosperità non sono manna caduta dal cielo ma beni di cui abbiamo goduto grazie a un insieme di circostanze che potrebbero svanire. E abbiamo tutto l’interesse a fare in modo che non svaniscano.

Nel pericoloso mondo multipolare in cui siamo ormai immersi, non può essere stabilito a priori chi abbia più filo da tessere, chi alla fine uscirà vincente nel braccio di ferro fra le democrazie occidentali e le potenze autoritarie. Le nostre scelte e le nostre azioni decideranno del nostro futuro. Decideranno se saremo noi, come è auspicabile, quelli seduti sul greto del fiume.

CORRIERE.IT

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