Piantedosi e gli altri nove al governo: l’opposizione ossessionata dalle dimissioni
In quattro mesi l’opposizione è riuscita a chiedere già le dimissioni di mezzo governo. Un record. L’ultima riguarda il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, primo atto parlamentare della deputata Elly Schlein nelle nuove vesti di segretaria del Pd. Per il momento non è stata ancora formalizzata una mozione di sfiducia e probabilmente non ci sarà, ma la richiesta di dimissioni è un genere a sé, serve per indebolire l’immagine del governo e alimentare la sfiducia anche senza portare effettivamente al passo indietro (i numeri per ottenerlo l’opposizione non li ha), nella speranza che, una picconata dopo l’altra, il consenso del governo cali e la maggioranza si sfaldi.
La dimissionite è comparsa molto precocemente. Già poco più di un mese dopo l’insediamento dell’esecutivo, il Pd ha chiesto le dimissioni del ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, reo di aver accusato il sindaco di Ischia per gli abusi edilizi, dopo l’alluvione di novembre («Non ha idea di cosa significhi fare il sindaco oggi. Si dimetta» tuonava Matteo Ricci, coordinatore dei sindaci Pd). Un mese dopo, riecco le dimissioni, stavolta per il presidente del Senato, Ignazio La Russa e del sottosegretario alla difesa, Isabella Rauti, senatrice di Fdi. Entrambi avevano fatto un tweet per ricordare l’anniversario del Movimento Sociale Italiano. Un comportamento «incompatibile con il ruolo istituzionale», secondo il Pd, che ha chiesto subito le loro dimissioni. Un paio di giorni dopo ed è toccato alla ministra della Famiglia, Eugenia Roccella, nel mirino del deputato Pd Alessandro Zan, per aver a suo dire discriminato le coppie gay («Non tutela le pari opportunità. Roccella deve dimettersi!»). Poi è toccato al ministro della Giustizia, Carlo Nordio. La sua annunciata riforma delle intercettazioni ha scatenato polemiche e accuse, montate ad arte per farlo apparire in minoranza nel governo e in disaccordo con il premier Meloni. Tanto da portare alla parola magica, «dimissioni», e costringerlo a smentire un’ipotesi immaginaria: «Non ho mai minimamente pensato a dimettermi».
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