Dalla e Battisti, gli ottant’anni dei geni rimasti senza eredi
Fabio Zuffanti
80 anni insieme per i due Lucio a solo un giorno di distanza: Dalla il 4 marzo, Battisti il 5, quando si dice i casi della vita. Evidentemente in quei frangenti del 1943 sulla Terra stava transitando la cometa della genialità. Tutti sanno quanto i due giganti siano stati importanti per le sorti della musica italiana, tutti conoscono i loro successi ma in giro c’è la netta consapevolezza che personaggi del genere non ne nasceranno più. Perché questo pensiero? In fondo la musica non si è certo fermata, ogni giorno escono centinaia di canzoni e di album, i nuovi artisti sono in numero esorbitante, tutti sgomitano per cercare di esibirsi ovunque gliene sia data l’occasione, partecipare a talent, racimolare visualizzazioni su YouTube e ascolti su Spotify. Eppure, in questa enorme massa di artisti e canzoni non ce n’è uno che negli ultimi vent’anni sia riuscito a imporsi come erede dei due Lucio. Nell’arena del pop italiano la genialità sembra scomparsa dai radar.
A cosa si deve tutto ciò? La cometa è oramai oltre le coordinate terrestri e si dovranno attendere migliaia di anni prima di rivederla? Non è dato saperlo, quello che si sa è che il momento storico attuale non è avaro di talenti, è semplicemente avaro di coraggio. Pensiamo a Battisti, in pochi anni passa da Il tempo di morire a un disco concettuale e difficile come “Anima latina”, poi si misura con la disco-music, crea un gustoso ibrido tra musica italiana e pop deluxe americano, molla il suo compare di fortune Mogol e si getta nell’elettronica, realizza una serie di album con un poeta sghembo e surreale come Pasquale Panella, dischi che ancora oggi devono essere capiti appieno. In poche parole Battisti si spinge oltre, non concede più nulla al pubblico di Un’avventura e di Mi ritorni in mente, e lo fa con orgoglio fino al momento della morte. E Dalla? Parte super pop, ha successo con 4/3/1943, ma si rompe ben presto le scatole e cerca l’impegno sociale e musicale, stringe alleanze con il poeta Roberto Roversi in dischi tanto belli quanto d’élite, capisce di essere bravo a scriversi da solo i testi e tra il 1978 e il 1981 getta sul tavolo un terzetto di album incredibili, vere esplosioni di bellezza e creatività. Poi si ripensa, torna al pop di mestiere piazzando sempre belle sorprese.
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