Donne al comando, le vere battaglie
Meloni lo ha capito bene, punta ad occupare lo spazio e fa la sua battaglia armata della sua cultura politica, dei suoi valori e dei suoi obiettivi, nonostante le contraddizioni – difficile tenere insieme la rivendicazione della differenza femminile e la richiesta di essere chiamata “il Presidente”, i Fratelli senza Sorelle, il “contano le persone, non la guerra tra i sessi”. Non stupisce che riduca l’interruzione di gravidanza a una questione economica o che difenda la famiglia al singolare: è la sua battaglia. Ma come affrontano questo conflitto le opposizioni, nelle aule parlamentari e nel paese? Si riconosce che la differenza tra i sessi esiste, è un fatto, intreccio di natura e storia o la si nega nel nome di una neutralità che dovremmo aver consegnato al secolo scorso, di un’idea di società dove uomini e donne non ci sono più, ci sono solo individui diversamente oppressi? La migliore eredità del femminismo è stata l’idea che la battaglia contro la discriminazione si combatte nel nome del riconoscimento della differenza non nella sua negazione. Questo non ha nulla a che fare con l’essenzialismo, ma con l’idea che se la storia ha conosciuto fino ad ora una sola idea di libertà, quella degli uomini, è tempo di aprirne un’altra e chiamarla, finalmente, con il suo nome.
LA STAMPA
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