La destra e quei morti sulla spiaggia del disonore

Ora, come scrive in modo magistrale Flavia Perina, davanti alle bare bianche dei bambini affogati, il racconto “cattivista” della destra si sgretola. La corsa a indicare le pur chiarissime colpe della Ue, il rimpallo burocratico delle competenze, la pasticciata opacità delle ricostruzioni fornite finora da tutte le autorità coinvolte: tutto questo armamentario ideologico si disarma, perché in Italia “il pensiero di una madre che annega insieme a suo figlio a cento metri dalla costa è intollerabile per chiunque, comunque abbia votato”. E questo non è “buonismo”, ma è semplicemente “il carattere profondo della nazione”, e che “esiste oltre e prima della politica”. Meglio di così non si poteva dire.

Anche Giorgia Meloni, sia pure con grave ritardo, lo ha compreso. In uno dei pochissimi incontri concessi ai cronisti al seguito, negli Emirati Arabi, la premier dice quello che avrebbe dovuto dire poche ore dopo l’eccidio di Cutro. Non a caso, la Sorella d’Italia parte proprio dallo “strazio” del corpo di un altro bambino trovato ieri sulla spiaggia, per dedicare una preghiera “per questo piccolo e per tutte le altre vittime”, e per garantire che il suo governo si batterà con ancora più determinazione per fermare la tratta di esseri umani ma soprattutto “per impedire che altre tragedie come questa si ripetano”. Chiede se “in coscienza” ci sia davvero qualcuno capace di accusare il suo governo di aver “volutamente fatto morire” più di 60 profughi. Vuole che i giornalisti la guardino “negli occhi”, mentre parla del corpo di quel bambino di tre anni riverso sul bagnasciuga, che ci ricorda il piccolo Alan con la sua magliettina rossa ritrovato sulla spiaggia dell’Egeo nel 2016. Spiega che i fatti sono “semplici nella loro tragicità”, e cioè che “alle nostre autorità non è arrivato mai nessun segnale di emergenza da Frontex”. Nega che quanto è accaduto abbia a che fare con il decreto sulle Ong, visto che “quel tratto di mare non era coperto dalle navi delle Organizzazioni non governative”. E conferma che in questi mesi il suo governo ha continuato “a salvare tutte le persone che si potevano salvare”.

Ci accontentiamo dell’umana pietas che ora, finalmente, scuote l’animo della presidente del Consiglio. Ma stendiamo un velo pietoso sulle mancate “segnalazioni di Frontex”. Se sono mancate all’inizio, in quella notte nera di allarmi ne sono stati diffusi diversi, e a prescindere da chi li ha lanciati nessuno si è mosso, o l’ha fatto troppo tardi. E qui torniamo alla “strage di Stato”. Nessuno, noi meno che mai, vogliamo considerare “assassino” il personale in divisa che si adopera per pattugliare i nostri mari. Ma è evidente che in Italia, dal governo gialloverde del 2018 in poi, il clima generale e “culturale” che si respira (e che anche i patrioti oggi al potere hanno alimentato) non è propriamente improntato alla solidarietà verso chi fugge dalla guerra, dalla tortura, dalla miseria e cerca un futuro nel ricco e pacifico Occidente. Le migrazioni sono raccontate non come dato fisiologico di questa fase storica, da gestire e da regolare, ma come problema di sovranità nazionale e di sicurezza pubblica, da prevenire e reprimere. Dai decreti sicurezza in poi la priorità indicata dal decisore politico – ed evidentemente trasmessa alle strutture amministrative e militari – non è stata più ispirata ai salvataggi e ai soccorsi, ma ai respingimenti e ai “blocchi navali”.

Noi, presidente Meloni, non crediamo certo che sabato scorso qualcuno nel governo abbia scientemente deciso di far morire quelle centinaia di ultimi della Terra. Ma siamo ragionevolmente persuasi che una certa propaganda politica, ed anche certe norme di legge, abbiano influito e influiscano sulle catene di comando, e finiscano fatalmente per condizionare chi presidia le acque territoriali, e magari deve decidere in pochi minuti che peso dare a un allarme o anche solo a una segnalazione di potenziale pericolo. Come lei, anche noi siamo convinti che nell’affrontare il dossier immigrazione l’Europa abbia peccato di cinismo e di egoismo, dal Trattato di Dublino del 2003 fino ad oggi, rinviando ogni volta (ma quasi sempre per colpa degli Stati sovranisti amici dei Fratelli d’Italia) le scelte cruciali sulla disciplina del diritto di asilo, sulle norme condivise dell’accoglienza, sui ricollocamenti. Ma a differenza di lei, pensiamo che tutto questo venga dopo, molto dopo e non c’entri con il dovere primario e irrinunciabile, etico e politico, proprio di qualunque democrazia che abbia a cuore i principi di umanità e di civiltà: salvare vite umane.

Torniamo così alle riflessioni di Flavia Perina. Dopo questa Apocalisse, anche la destra è chiamata a una nuova assunzione di responsabilità. Rispetto al 2022 i flussi migratori sono triplicati nei primi due mesi del 2023. Vanno gestiti, non esorcizzati o criminalizzati. Come sempre è compito della politica, e non lo sta facendo. Ora venga pure a Cutro, presidente Meloni, e riunisca pure lì il Consiglio dei ministri. Ma basta con la sloganistica becera e sciovinista: “stop agli sbarchi”, “aiutiamoli a casa loro”, “fermiamo l’invasione”, “evitiamo la sostituzione etnica”. Questa truce paccottiglia propagandistica da paura incombente e da campagna elettorale permanente non coglie l’umore profondo del Paese, come immaginava qualche insano teoreta dei “porti chiusi”. Prima lo capite, meglio è per tutti. Per noi che restiamo. E per quei poveri cristi ingoiati dal Mare Nostrum, a pochi metri da una riva e da una speranza. Non dobbiamo e non vogliamo consegnarli all’oblio. Anche questo, in “Patria”, dice Xavier a Nerea: “La nostra memoria non si cancella con l’acqua”.

LA STAMPA

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