È l’Africa la nuova trincea dei mercenari di Putin

Insediarsi a cavallo del Sahara può garantire a Mosca di avere influenza sulle due maggiori minacce che si proiettano verso l’Europa – terrorismo jihadista e flussi migratori – oltre alla possibile realizzazione di un sistema di difesa aerea in Libia in grado di fronteggiare quello della Nato basato in Sicilia, a copertura del Mediterraneo Centrale. La partita che si gioca in Africa appare dunque come complementare all’invasione russa dell’Ucraina perché in entrambi i casi l’obiettivo strategico di lungo termine di Mosca è di insediarsi in maniera efficace lungo i mari del Sud – dal Mar Nero allo Stretto di Gibilterra – per incalzare il fronte Sud della Nato, creando un network di basi navali ed aeree che al momento ha i propri cardini a Latakia-Tartus in Siria, e Bengasi-Al Khadim-Al Jufra in Libia, ma punta ad estendersi assai oltre.

Fonti occidentali a Bruxelles che seguono da vicino le mosse di Putin in Africa fanno notare come spesso la Wagner si rafforzi sui diversi territori facendo alleanze, politiche ed economiche, con soggetti locali accomunati da una forte avversione contro la Francia. Il soft power della narrativa anticolonialista si coniuga spesso con l’hard power di uomini e mezzi della Wagner la cui brutalità è stata denunciata, lo scorso gennaio, da un rapporto dell’Onu che considera i mercenari filorussi co-responsabili – assieme ad unità dell’esercito del Mali – di fosse comuni, esecuzioni di massa, stupri di guerra ed altre violazioni sistematiche dei diritti umani, al fine di ottenere la piena sottomissione delle comunità locali. Per avere un’idea degli interessi economici che si celano dietro l'”operazione Africa” del presidente Putin basti tener conto che – secondo un recente studio della “Rand Corporation” – le vendite annue di armi russe in Africa sono balzate in pochi anni da 500 milioni a 2 miliardi di dollari, staccando in maniera netta i concorrenti americani e cinesi.

Oltre al ciadiano Mahmat Idriss Deby, i leader africani più vicini all’Occidente che rischiano da un rafforzamento di Wagner in Africa sono il somalo Sheik Mohamed, nemico giurato degli al-Shabbab, e il nigerino Mohamed Bazoum, incalzato dalle proteste dei sindacati locali. Da qui la necessità di una maggiore collaborazione degli Stati Uniti con Francia, Italia e Spagna – i tre Paesi Ue tradizionalmente più presenti in Sahel e Nordafrica – per coordinare interventi economici e diplomatici a sostegno dei Paesi africani che non vogliono diventare pedine nel mosaico del Cremlino né cadere nella rete degli investimenti-trappola cinesi.

REP.IT

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