Le profezie sbagliate sulla crisi e l’apocalisse mai avvenuta

di Federico Rampini

Non solo non c’è stata la recessione dovuta alle sanzioni contro la Russia, ma sono cresciute le esportazioni

Dovremmo imparare qualcosa dall’Apocalisse che non è mai avvenuta. Un anno fa a quest’epoca l’Occidente cominciava ad applicare le sanzioni economiche contro la Russia. Ne seguì uno psicodramma nazionale, sui danni tremendi che ci saremmo auto-inflitti con quelle sanzioni. Nel discorso pubblico giganteggiavano delle emergenze presentate come certezze. Una maxi-recessione con crolli di reddito e di occupazione doveva abbattersi su di noi, causata dalla perdita del mercato russo e dal rincaro energetico. Avremmo passato un inverno al gelo. Le penurie alimentari, oltre ad affamare il popolo italiano, avrebbero gettato in una carestia senza precedenti il «grande Sud globale»: con guerre civili e altre gigantesche ondate di profughi verso le nostre terre.

Un anno dopo, nulla di tutto ciò si è verificato. L’arrivo di una recessione continua a slittare, forse potrebbe non verificarsi, in ogni caso sarebbe la conseguenza delle strette monetarie varate per domare l’inflazione, non delle sanzioni. Sul mercato del lavoro fa notizia la difficoltà delle imprese a trovare la manodopera di cui hanno bisogno. I flussi migratori da Sud a Nord — pur segnati dai tragici eventi del Mediterraneo — non hanno subito variazioni di rilievo. Non abbiamo passato l’inverno al gelo. Il gas oggi costa meno di prima della guerra.

Un dato spicca su tutti, è l’exploit delle esportazioni italiane in questi dodici mesi che dovevano essere rovinati dall’impatto delle sanzioni. L’export del made in Italy ha conosciuto un rialzo del 20% nel 2022. All’interno di questo dato già brillante si segnala un successo regionale che è perfino sopra la media nazionale. Il Friuli Venezia Giulia ha fatto ancora meglio, le sue esportazioni sono cresciute del 22,3%. Eppure è un territorio che confina con i Balcani, proiettato a Oriente, abituato a esportare (anche) sul mercato russo. Per spiegare l’anno felice del «made in Italy», la chiave ce la fornisce l’Istat: è il formidabile incremento negli acquisti di prodotti italiani da parte degli Stati Uniti (+22,5%).

La distanza dalle profezie apocalittiche di un anno fa è abissale. Ci impone di analizzare le cause di una previsione così clamorosamente sbagliata. La Russia — proprio per l’incapacità di Putin di modernizzarla — ha un’economia minuscola: pesa un quattordicesimo di quella americana, non si classifica tra le prime dieci economie del pianeta. Partendo da questa realtà ci vuole molta immaginazione per trasformare la perdita del mercato russo in una catastrofe. Viceversa, ciò che è avvenuto all’economia italiana nel 2022 ci ricorda a quale mondo apparteniamo. Il concetto di Occidente non evoca soltanto una realtà geopolitica, un sistema di alleanze, un modello di valori al quale ci sforziamo di essere fedeli: è anche un aggregato di interessi materiali, costruito in molti decenni di scambi commerciali e investimenti. I nostri mercati di gran lunga più importanti sono e resteranno sempre dislocati sull’asse atlantico, situati nell’Unione europea e nel Nordamerica.

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