Galli: «L’indecisione sul Covid ha causato troppi morti, sui tamponi avevo ragione io»

di Laura Cuppini

L’infettivologo: il ruolo degli asintomatici nella diffusione dei contagi è emerso quasi subito. La mia posizione, che tuttora rivendico, era testare più persone possibile per circoscrivere i focolai d’infezione

«Nelle prime fasi della pandemia sono stati fatti certamente errori, ma soprattutto il sistema ha mostrato tutta la propria inadeguatezza».

Massimo Galli, già professore ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano, ha detto in audizione alla Commissione Affari sociali della Camera che i contrasti tra istituzioni nella gestione della pandemia sono stati evidenti e che per il futuro servirà una catena di comando meglio definita. Quali ritiene siano stati gli aspetti più critici?
«Abbiamo una sanità pubblica regionalizzata, con 21 tra Regioni e provincie autonome che decidono, in larga misura in autonomia, sui temi della salute. Questa situazione non ha aiutato a fronteggiare un’emergenza sulle implicazioni della quale già sapevamo pochissimo. Ridimensionare il ruolo delle Regioni nella sanità, anche per superare disuguaglianze territoriali inaccettabili, potrebbe essere un buon punto di partenza. Possiamo anche chiederci a quanto serva puntare sugli ospedali d’eccellenza se ci si dimentica della prevenzione, non si riesce a fronteggiare le emergenze e, solo per fare un esempio, alle politiche vaccinali, uno degli aspetti principali su cui si fonda la prevenzione, non si garantisce lo spazio sufficiente».

Secondo la ricostruzione della Procura di Bergamo, la mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, in Val Seriana, a fine febbraio 2020 ha causato la morte di oltre 4 mila persone. Che cosa non ha funzionato?
«La mia sensazione di allora era che la zona rossa sarebbe stata necessaria anche lì, come a Codogno. Quelli tra fine febbraio e inizio marzo 2020 sono stati giorni costellati di indecisioni, quando invece sarebbe servito tutt’altro. Chi sia stato responsabile dei mancati interventi non sta a me stabilirlo».

Un capitolo dell’inchiesta di Bergamo riguarda i test Covid. Che cosa ha da dire al riguardo?
«Il ruolo degli asintomatici nella diffusione dei contagi è emerso quasi subito. La mia posizione, che tuttora rivendico, era testare più persone possibile per circoscrivere i focolai d’infezione e i fatti hanno dato ragione a quelli che la pensavano come me. Nei primi tempi della pandemia la disponibilità di strumenti diagnostici, i cosiddetti tamponi, era terribilmente limitata, e di conseguenza ho ritenuto importante sostenere la possibilità di estenderla. Uno studio condotto nel 2020 nello Stato di Washington (Kimball e altri), all’interno di una Residenza sanitaria assistenziale, ha mostrato che circa la metà degli anziani positivi al test non aveva sintomi. Il monitoraggio che abbiamo condotto tra maggio e giugno 2020 a Castiglione d’Adda ha dato un risultato analogo: un terzo degli ultraottantenni risultati positivi per gli anticorpi non sapeva di aver avuto l’infezione. Possiamo presumere che la percentuale di asintomatici sia superiore tra i giovani adulti».

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