Così Meloni ha «sfilato» il dossier migranti a Piantedosi: con Bruxelles dialogo diretto

di Francesco Verderami

La risposta arrivata da von der Leyen viene considerata «molto positiva». La richiesta di più sinergia e meno esposizione e il segnale a Salvini

Così Meloni ha «sfilato» il dossier migranti a Piantedosi: con Bruxelles dialogo diretto

Un premier ha molti modi per intervenire senza toccare gli equilibri del governo e senza sconfessare formalmente un ministro. Sul «caso Piantedosi», Meloni ha scelto la strada europea per avocare di fatto il dossier immigrazione, su cui d’altronde Palazzo Chigi vanta delle competenze. E il carteggio con le istituzioni di Bruxelles dopo la tragedia di Cutro è funzionale all’obiettivo. La risposta arrivata ieri dalla von der Leyen — a fronte delle sollecitazioni italiane sull’emergenza migranti — viene considerata «molto positiva» da fonti qualificate del governo, perché «vengono riconosciute le ragioni esposte dalla presidente del Consiglio». Che in Europa come in Italia mira a muoversi su undoppio binario : rafforzare il contrasto all’immigrazione clandestina e allo stesso tempo garantire una maggiore flessibilità nella politica dei flussi.

Questo dialogo diretto tra Palazzo Chigi e la Commissione finisce in pratica per ridurre il ruolo di Piantedosi, al quale la premier chiede una «maggiore sinergia». Che nel lessico politico equivale a un ridimensionamento del titolare del Viminale ed è inoltre un segnale a Salvini , sponsor del ministro. Tutto ciò si traduce anche in una indiretta richiesta di maggiore coordinamento sul piano della comunicazione e di minore esposizione pubblica. «Chi guida gli Interni — ricorda non a caso un membro anziano del governo — di solito rilascia due interviste l’anno». Ed è proprio per lesa verbosità che Piantedosi è finito al centro della polemica dopo il naufragio del barcone sulle coste calabre.

Nelle ore successive alla drammatica vicenda, il responsabile del Viminale si era mosso istituzionalmente in modo corretto, prima di lasciarsi andare a dichiarazioni che hanno messo in difficoltà Meloni. Perché a quel punto la tragedia è diventata un caso politico, che ha suscitato qualcosa in più di un’irritazione a palazzo Chigi. E ha prodotto forti tensioni con la Lega, che ha evidenziato alla premier il differente atteggiamento assunto con Piantedosi rispetto al caso «Delmastro-Donzelli»: mentre con i due esponenti di FdI Meloni si era subito esposta a loro difesa, nei riguardi del ministro dell’Interno — è stato rilevato da Salvini — è mancata una attestazione pubblica.

In attesa dell’indagine investigativa sul naufragio, che dovrà stabilire se e cosa eventualmente non ha funzionato nel dedalo di competenze tra strutture dello Stato, la premier si cura anzitutto di salvaguardare la stabilità del suo governo (che peraltro non è mai stata in dubbio) e in più centralizza la materia migratoria, adottando un escamotage politico che attraverso il passaggio in Europa finisce per aggirare l’Interno. Racconta uno dei più autorevoli ministri che su questo piano «c’è l’impronta di Mantovano», il sottosegretario alla Presidenza che «da palazzo Chigi sorveglia il Viminale», di cui «conosce ogni dinamica» dopo averlo frequentato ai tempi dei governi Berlusconi.

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