Così Meloni ha «sfilato» il dossier migranti a Piantedosi: con Bruxelles dialogo diretto
La via di Bruxelles scelta da Meloni per superare le difficoltà provocate dall’«eccesso di protagonismo» di Piantedosi è peraltro meno capziosa di quanto appaia. Anzi è «fondamentale», secondo un esponente dell’esecutivo: perché — questa è la spiegazione — il provvedimento che la premier sta preparando in vista del Consiglio dei ministri a Cutro, «delibererà misure di competenza statuale. Inefficaci senza una maggiore collegialità europea». Si vedrà quante delle parole rassicuranti scritte nella lettera da von der Leyen si tradurranno in fatti al prossimo Consiglio europeo. Ma non c’è dubbio che questa sia l’unica strada percorribile: un’azione combinata dell’Italia e dell’Unione, sollecitata ieri anche dal capo dello Stato.
Quanto agli sviluppi della polemica politica, si capirà dopo l’informativa di Piantedosi in Parlamento se Schlein andrà oltre la richiesta verbale di dimissioni del ministro. Manca infatti l’atto conseguente: la presentazione formale di una mozione di sfiducia. Se ancora non ha deciso è perché sono chiare le controindicazioni: la leader del Pd, alla sua prima uscita parlamentare, rischierebbe di spaccare il fronte delle opposizioni mentre compatterebbe la maggioranza.
Non è il passaggio alle Camere che preoccupa Meloni. E nemmeno l’attacco combinato delle forze di sinistra che criticano la sua decisione di convocare il Consiglio dei ministri a Cutro: «Se non ci vado mi dicono che sono insensibile, se ci vado con tutto il governo mi dicono che è un’operazione d’immagine». Niente di nuovo per chi fino all’altro ieri è stata opposizione.
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