Talebani e Ayatollah: uomini che odiano le donne

di Milena Gabanelli e Marta Serafini

«Io non ho paura delle minacce di morte. Sono loro che hanno paura. Altrimenti non vorrebbero uccidere una piccola donna come me». Scrive Shirin Ebadi, la prima donna musulmana a cui è stato assegnato nel 2003 il Nobel per la Pace. Al grido di «Donna, vita e libertà» migliaia di ragazze e ragazzi scendono in piazza in ogni città dell’Iran da ormai più di 160 giorni. É il 16 settembre quando Mahsa Amini viene arrestata e poi picchiata a morte a Teheran perché non indossa il velo correttamente. Da allora, insieme alle proteste, è iniziata l’oscena contabilità di morte: si tratta in molti casi di donne giovanissime, torturate e violentate, prima di essere uccise dalla polizia morale. Tra loro Nika Shakarami (17 anni), Hadis Najafi (20 anni), Hannaneh Kia (23 anni), Ghazaleh Chalavi (32 anni), Mahsa Moguyi (18 anni), Aida Rostami (36 anni), la dottoressa che curava i feriti. Secondo le Ong per i diritti umani attive in Iran sono oltre 100 le manifestanti in carcere. Negli ultimi giorni inoltre sono stati segnalati casi di avvelenamento intenzionali su centinaia di bambine nelle scuole di Qom. Si sospetta si tratti di una pratica per scoraggiare l’istruzione femminile.

525 morti in 5 mesi

A sostenere la loro lotta anche i giovani iraniani. E anche per loro nessuna pietà. Aveva poco più di trent’anni Mehdi Zare Ashkzari, ex studente dell’università di Bologna. È morto in custodia in Iran, dove era tornato per assistere la madre malata, dopo essere stato arrestato in manifestazione. Prosegue inoltre l’angoscia per la sorte di quanti, tra le migliaia di giovani arrestati, rischiano di finire nel braccio della morte o sono stati già condannati alla pena capitale. Come per Mohammad Boroghani, arrestato in settembre con l’accusa di essere uno dei leader della rivolta e quindi processato per il reato di «guerra contro Dio». Doppia condanna a morte per Mehdi Mohammadifard, un manifestante di 18 anni, arrestato durante le proteste e che non ha avuto la possibilità di essere difeso da un avvocato. L’8 dicembre scorso le autorità hanno impiccato il manifestante Mohsen Shekari, dopo un processo gravemente iniquo con l’accusa di «inimicizia contro Dio». Quattro giorni dopo la stessa sorte è toccata a Majidreza Rahanvard, dopo un processo farsa a suo carico. Il 7 gennaio sono avvenute le esecuzioni di Mohammad Mehdi Karami e di Seyed Mohammad Hosseini.

A tutti loro è stato negato il diritto di essere difesi da un avvocato di propria scelta, alla presunzione di innocenza, e ad avere un processo giusto e pubblico. Numerosi imputati sono stati torturati e le confessioni, estorte, sono state usate come prove nel corso dei processiLe TV di Stato hanno trasmesso le «confessioni» forzate di almeno nove imputati, prima che il processo avesse luogo. Secondo Amnesty International 525 manifestanti, tra cui 71 bambini, sono stati uccisi e più di 19 mila persone sono state arrestate da settembre ad oggi.

La lotta non si ferma

Nonostante la repressione, nonostante la frequenza delle proteste siano diminuite, le manifestazioni continuano. Le donne lottano contro un regime che esercita una doppia oppressione: politica e di genere. E lo fanno strappandosi il velo ai funerali delle compagne uccise, a rischio della loro stessa vita, o tagliandosi i capelli, un gesto mutuato dall’usanza curda che vede le donne privarsi della loro femminilità in segno di lutto. I giovani non temono l’Ayatollah, e di giovani in Iran ce ne sono tanti: l’età media è di 27 anni.

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