Talebani e Ayatollah: uomini che odiano le donne

La Sharia: velo e non solo

Simbolo della repressione femminile è diventato l’obbligo di indossare il velo. In realtà si tratta solo di uno dei temi che si pone in buona parte dei Paesi dove la religione è utilizzata dai regimi teocratici per controllare la popolazione, soprattutto quella femminile. Nel caso dell’Islam è la sharia il cardine su cui si fonda la discriminazione. Strumento di controllo diretto è la polizia morale. Quella iraniana ha acquisito notorietà internazionale, ma non è l’unica polizia religiosa islamica al mondo accusata di maltrattare i cittadini. Altri Paesi in Africa, Medio Oriente e Sud-est asiatico hanno poliziotti dedicati al monitoraggio delle cosiddette attività non islamiche. In Indonesia, ad esempio, la Wilayatul Hisbah, ha giurisdizione sui musulmani solo nella provincia semiautonoma di Aceh dal 2001. Qui, esattamente come in Iran, le donne devono indossare abiti larghi e foulard. E, sebbene le violazioni dell’abbigliamento non possano portare alla detenzione come invece succede in Iran, altre violazioni della legge islamica, a partire dall’adulterio, portano regolarmente alla reclusione o alla fustigazione pubblica.

Le spose e mamme egiziane

In Egitto non sono poche le ragazze arrestate e/o condannate al pagamento di multe per aver pubblicato immagini considerate sconvenienti sui social. Se, da un lato, il movimento femminista egiziano sembra fare grandi passi avanti, con le giovani donne che inventano nuove forme di attivismo per attirare l’attenzione sulla violenza sessuale endemica che le affligge sia nelle loro case che in strada, nel 2021 il gabinetto egiziano ha approvato un disegno di legge sullo status personale che richiederebbe alle donne di ottenere il consenso di un tutore maschio per sposarsi, registrare la nascita di un figlio o viaggiare all’estero. Un disegno di legge che dà anche la priorità ai padri in materia di affidamento dei figli (attualmente viene data priorità alle madri).

Ai talebani la donna istruita fa paura

Se si allarga l’orizzonte di osservazione ad altri parametri, tra cui l’educazione e la giustizia, secondo il Women Peace and Security Index (WPS Index), il peggior posto del mondo dove nascere donna è l’Afghanistan.

Un Paese dove le donne, pur rischiando frustrate, lapidazione, arresto e tortura, protestano dal 15 agosto 2021, data del ritorno dei talebani al potere in seguito agli accordi di Doha sottoscritti dall’amministrazione statunitense di Donald Trump. Tra il 2001 e il 2018, durante il periodo di occupazione da parte delle forze internazionali, il numero di donne con un’istruzione superiore era aumentato di quasi 20 volte, e una giovane donna su tre era iscritta all’università. Ebbene, da settembre 2021, il rientro a scuola per tutte le adolescenti e ragazze afghane di età superiore ai 12 anni è stato rinviato a tempo indeterminato, lasciando 1,1 milioni di giovani donne senza accesso all’istruzione formale. Attualmente, secondo l’Unesco, l’80% delle ragazze e delle giovani donne afghane in età scolare – 2,5 milioni di persone – non va a scuola. Quasi il 30% delle ragazze in Afghanistan non ha mai frequentato l’istruzione primaria.

Vietata l’università

Nonostante questo, a novembre in migliaia hanno sostenuto il kankor, l’esame di ammissione all’università. Ma il 20 dicembre i talebani – disattendendo le promesse fatte a Doha – hanno vietato l’iscrizione alle donne alle università e tolto la possibilità ad oltre 100 mila studentesse di terminare i loro studi.

È facile capire perché dopo il ritorno dei talebani al potere, la percentuale di donne sopra i 15 anni che si sentono al sicuro nella loro comunità sia passata dal 35,5% al 9,8. Ma non si sono chiuse in casa: dopo il 20 dicembre decine di ragazze sono tornate nelle piazze di Kabul e Nangahar, a manifestare il loro disprezzo verso le barbe nere, e rivendicare il diritto ad esistere. Alle donne iraniane, afghane, e alle ragazze della minoranza curda yazida, stuprate e uccise dai macellai dell’Isis, è dedicato questo 8 marzo. dataroom@corriere.it

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