Il Pd e la gerarchia dei nuovi diritti

Vladimiro Zagrebelsky

L’arrivo di Elly Schlein alla testa del Partito democratico – da fuori e senza l’appoggio della maggioranza degli iscritti -, per il suo profilo politico e per l’immagine che la caratterizza, dà occasione e anzi obbliga a riprendere un tema antico, come quello dei diritti civili e dei diritti sociali: del loro rapporto, delle priorità, della compatibilità. Da tempo la questione dei diritti non compare come tratto politico identitario nella azione del Pd. Non bastano infatti sporadici episodi parlamentari nel campo dei diritti civili, mentre per i diritti sociali (lavoro, sanità, scuola, fisco, povertà) non vi è stata significativa caratterizzazione del partito, programmaticamente e ad ogni costo governativo.

Quanto ai diritti civili, il Pd, frutto della confluenza di culture e progetti politici di cattolici e di ex-comunisti, non si è sciolto dai tratti culturali illiberali comuni alle due storie; lo spazio lasciato al tema dei diritti individuali, specialmente a quelli che ora si chiamano «i nuovi diritti», è rimasto limitato. Essi richiedono l’abbandono di ogni velleità di imporre, foss’anche da parte di una maggioranza, scelte restrittive statali su ciò che appartiene all’autonomia delle persone. Diritti sociali e diritti civili pongono alle autorità pubbliche obblighi diversi: i primi hanno bisogno di interventi positivi, mentre i secondi, essenzialmente e prima di tutto, pretendono l’astensione dello Stato da interferenze nella libertà delle persone e garanzie di possibile, concreta realizzazione. L’interesse del nuovo corso del partito risiede anche nella domanda se la nuova Segretaria potrà riorientare il partito, superando senza fratture la perdurante influenza dell’origine storica e le scelte contingenti di acquiescenza e rassegnazione. Il carattere del nuovo vertice del Pd sembra rispondere ad una simile esigenza. Ma in ordine ai diritti occorre finalmente chiarire che gli uni non escludono gli altri ed anzi vanno insieme.

Quando i diritti umani sono emersi, divenendo oggetto di conflitto politico, si sono espressi in Occidente in dichiarazioni e atti costituzionali, con l’attenzione puntata sui diritti individuali, civili e politici. Tale essenzialmente è l’elenco dei diritti della francese Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e del Bill of Rights americano. Ma subito sul terreno politico si è reclamato invece il riconoscimento dei diritti sociali. E i due corpi di diritti, invece di unirsi sono entrati in competizione, indicati i primi come quelli dei borghesi e i secondi quelli della classe operaia. Nel secondo Dopoguerra, quando la comunità internazionale ha voluto assumere la responsabilità della protezione dei diritti fondamentali, la contrapposizione ha fatto capo da un lato agli Stati occidentali e dall’altro all’Urss e agli Stati satelliti. Così la Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’Assemblea dell’Onu nel 1948, pur pretendendo, fin dal titolo, di avere universale valenza, non ha ottenuto il voto unanime della Assemblea. Infatti, i Paesi del blocco sovietico (oltre che, per motivi diversi, l’Arabia Saudita e il Sudafrica) si astennero. Essa contiene un lungo elenco di diritti di entrambe le categorie. Per assicurare a quei diritti un valore giuridico vincolante per gli Stati, che andasse oltre la semplice dichiarazione politica, nel 1966, con due Patti internazionali (quello dei diritti civili e politici e quello dei diritti economici, sociali e culturali) vennero approvati due separati elenchi di diritti. La separazione venne adottata per permettere agli Stati di ratificare l’uno e non l’altro, ma così fu certificata l’autonomia e persino l’incompatibilità degli uni rispetto agli altri.

E sembrò facile etichettare i primi come propri della destra politica e i secondi come della sinistra. Infondata semplificazione, poiché esiste una destra sociale e non vi è ragione perché a sinistra non si apprezzino le libertà individuali. Tanto più che per molti diritti e molte libertà è difficile dire se siano classificabili nell’una o nell’altra categoria. In ogni caso la Costituzione ed anche la Carta dei diritti umani della Unione europea menzionano e assicurano gli uni e gli altri, che necessariamente convivono. I condizionamenti reciproci sono strettissimi. I diritti sociali come quelli al lavoro, all’istruzione, alla salute devono essere assicurati perché sia possibile il concreto esercizio dei diritti di libertà. Infatti a chi ha fame, è malato o ignorante non serve la libertà di stampa o quella di circolazione. Le due categorie hanno in comune la derivazione dal diritto al rispetto della dignità di tutte le persone, che è alla base di tutte le carte dei diritti e della nostra Costituzione. Sul riconoscimento della dignità di tutti e ciascuno, richiamando la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, il Conseil constitutionnel francese ha fondato il diritto costituzionale (sociale) alla abitazione. Dal divieto di trattamenti inumani o degradanti, la Corte europea dei diritti umani ha derivato l’obbligo (sociale) degli Stati di fornire alloggio ai migranti richiedenti asilo, costretti a vivere per strada. La ragione della valorizzazione di diritti sociali minimi, pur sulla base di una Convenzione europea che nel 1950 si è voluto limitare ai soli diritti civili, consiste proprio nel fatto che vi sono condizioni sociali in assenza delle quali i diritti e le libertà civili individuali non sono possibili. È poi chiaro il legame tra diritti civili e diritti sociali nella recente esperienza della pandemia, che, in considerazione del diritto sociale e collettivo alla salute, ha imposto limitazioni ad alcuni diritti individuali.

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