Sanità, negli ospedali arriva il sorpasso del privato

Di esempi se ne potrebbero fornire molti altri ed è inutile dire che, mentre nel pubblico – secondo l’ultimo report di Cittadinanzattiva – si arrivano ad attendere fino a 720 giorni per una mammografia, un anno per Tac e risonanze, pagando nel 57% dei casi si aspettano meno di 10 giorni, tra gli 11 e i 30 per le visite specialistiche, tra i 30 e i 60 per gli accertamenti diagnostici in un altro 28% di casi, mentre ad attendere oltre è solo il 14% dei solventi. Una sperequazione portata avanti infischiandosene delle leggi. Un decreto legge, il numero 223 del 2006, era stato già benevolo con l’attività libero professionale dentro Asl e ospedali, stabilendo che questa non poteva superare il tetto delle prestazioni fornite in forma pubblica. E ci mancherebbe, verrebbe da dire. Anche se poi si scopre che in non pochi casi il privato finisce per farla da padrone. La stessa normativa vieterebbe però l’attività «intramoenia» qualora non si rispettino i tempi massimi di attesa fissati per legge: 72 ore per le urgenze, 10 giorni per le prestazioni differibili, 30 per le visite e 60 per gli accertamenti programmabili. Peccato che in oltre 300 pagine di relazioni non una sia dedicata al monitoraggio del rispetto di questa norma. Sicuramente infranta dove le prestazioni private superano persino quelle pubbliche.

Quanto tutto questo produca iniquità tra chi può e chi non può aggirare l’ostacolo liste d’attesa pagando lo dicono due dati. Il primo è quello dell’11% di italiani che rinunciano a visite e accertamenti per difficoltà economiche e di accesso ai servizi. Il secondo è quello della spesa pro capite per le prestazioni in «intramoenia», che nelle più ricche regioni del Centro-Nord e più o meno tripla di quella delle regioni meridionali. Dove le liste di attesa ci sono eccome, ma a scarseggiare sono i soldi per risolvere la faccenda privatamente.

LA STAMPA

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