I patrioti al karaoke della cattiva coscienza
Come un Hotel Raphael tenero e non-violento, la protesta dei peluche lanciati contro il governo in trasferta a Cutro ha la forza simbolica di un disvelamento. La distanza tra il potere e il popolo si fa abisso, e in questo abisso sprofonda tutto ciò che è umano: la pietà e la solidarietà, la civiltà e la responsabilità. Non c’è l’atto di dolore, che doveva onorare i morti. Non c’è il gesto d’amore, che poteva consolare i vivi. Né una rosa su quelle bare allineate nel Palasport, né una carezza su quelle gote rigate dalle lacrime. Nulla di nulla. A parte l’omaggio commovente di Sergio Mattarella, “l’altro Stato” è presente nell’unica forma che questa stagione politica prevede e richiede: burocrazia e faccia feroce, auto blu e pugno di ferro. La toccata e fuga in Calabria, compresa la sguaiata conferenza stampa della premier e dei suoi ministri, è una delle pagine più nere della Storia repubblicana degli ultimi decenni. Meloni nervosa più di sempre, Salvini al cellulare come sempre. Occhi stralunati e facce stranite, sorrisetti ironici e sospiri irenici. Un crescendo di indifferenza per le vittime e di insofferenza per i giornalisti. Perché ci siete andati, se questa è la pelosa e penosa messinscena che siete in grado di offrire a quei poveri cristi e al Paese? Davvero il vostro unico obiettivo era quello di depositare su quella terra già sconvolta dalla tragedia l’ennesimo uovo di serpente, cioè un decreto che spaccia Zero Tolerance for Dummies (galera fino a 30 anni per gli scafisti, cui dare la caccia “per tutto il globo terracqueo”) e che in realtà rende ancora più strette le maglie della protezione umanitaria?
Avevamo creduto, con Flavia Perina, che di fronte a quelle 76 vittime, tra cui 23 bimbi con meno di 12 anni, le destre avrebbero archiviato o sospeso anche solo momentaneamente lo storytelling cattivista di questi anni. Ci eravamo illusi che l’orrore di quei corpi sul bagnasciuga e il fragore del pianto delle madri davanti alle piccole casse bianche di Roqia e di Zhara, di Hakef e di Hazif, avrebbero raffreddato il furore xenofobo dei patrioti. Non è stato così. Ed è stata la catastrofe, come scrive Vito Mancuso. A forza di ripetere “prima gli italiani”, hanno smesso di essere umani. E quello straccio di pietas che gli è rimasta nell’anima la Sorella d’Italia e il leader leghista l’hanno tirata fuori solo dopo, nel giorno sbagliato e nel posto sbagliato, intonando abbracciati “La canzone di Marinella”, in un toccante karaoke improvvisato per festeggiare i gloriosi 50 anni del Capitano. Non serviva il cuore grande di Faber, il “poeta degli Ultimi”: bastava molto meno, per regalare giusto un briciolo di empatia e di calore a quei disperati, fuggiti dai kalashnikov dei Taliban e dalle forche degli Ayatollah. E proprio questo, in fondo, avevamo sperato: che Giorgia “sono una donna-sono una madre-sono cristiana”, scossa almeno da quelle piccole vite spezzate, alla fine avrebbe saputo marcare una distanza e una differenza rispetto a Matteo “per-i-clandestini-è-finita-la-pacchia”. La speranza è stata tradita.
Ma col senno di poi, a ragionare sull’epoca e l’epica sovranista, la domanda da porsi ha senso solo se girata al contrario: perché mai la presidente del Consiglio e il suo partito avrebbero dovuto o dovrebbero cambiare approccio e linguaggio sui migranti? In effetti non c’è una sola ragione che giustifichi un cambio di fase o di passo. Salvatore Vassallo, nei “Fratelli di Giorgia” (Il Mulino), osserva che l’intera lettura “nazional-conservatrice” di FdI ruota intorno alle migrazioni “come strumento di sostituzione etnica”. Alla paura che la “nostra civiltà” sia assediata “da un invasore, che prende le forme dell’immigrazione incontrollata e, attraverso di essa, dell’islamizzazione”, cioè della “colonizzazione strisciante da parte di un’altra civiltà”. Questa teoria non è solo al centro delle cosiddette “Tesi di Trieste” del partito elaborate nel 2017. Ma è anche il cardine intorno al quale ruota da sempre il messaggio politico-culturale di Meloni, che proprio sulla lotta all’immigrazione ha costruito la rincorsa al Carroccio. “Più che spiazzare il leader della Lega come dominus sul tema dell’immigrazione (ruolo che il Capitano ha acquisito da ministro degli Interni nel governo gialloverde), Meloni deve accreditarsi presso l’elettorato conquistato da Salvini dimostrando di non essere meno intransigente contro gli sbarchi e i crimini commessi dagli immigrati”. Obiettivo perseguito con successo, soprattutto tra il 2015 e il 2019, quando la Sorella d’Italia pubblicava sulla sua pagina Facebook post belluini: “Basta con l’inganno dell’accoglienza dei profughi! Solo il 15% di chi sbarca ha diritto a una forma di protezione internazionale, il restante 85% sono migranti economici e quasi tutti uomini in età di lavoro”. Oppure, ancora peggio: “Ecco perché la Sea Watch va affondata e il suo equipaggio arrestato!” (16 maggio 2019).
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