I patrioti al karaoke della cattiva coscienza

Erano quattro anni fa, si potrebbe obiettare, e dall’opposizione solitaria Meloni è passata a una maggioranza autoritaria. Ma su questa frontiera poco o niente è cambiato da allora. Il tonitruante comizio al raduno di Vox a Marbella risale appena al 13 giugno 2022. E lì la futura premier tuonava contro “l’accoglienza buonista e indiscriminata dei migranti” e contro “la sinistra che ha steso loro i tappeti rossi sapendo che quella manodopera a basso costo avrebbe fatto concorrenza ai nostri lavoratori”. Questo resta il brodo di coltura di questa destra, che si riflette e si rifletterà sempre in politiche restrittive sulla regolazione degli ingressi e la concessione della cittadinanza. E al centro del messaggio politico-elettorale e delle proposte di governo di FdI (come recita un documento del Dipartimento Nazionale Sicurezza, Legalità e Immigrazione del partito) resta e resterà sempre l’idea del “blocco navale”, cioè “una missione militare europea, realizzata in accordo con le autorità libiche, per impedire ai barconi di immigrati di partire in direzione dell’Italia”. È stato il mantra ossessivo di questi terribili dodici giorni di macabra danza sui morti di Cutro, di cui persino il “questurino” Piantedosi si è appropriato: è colpa loro, non devono partire, urgono accordi “con i Paesi di provenienza”. Come se la Libia non fosse uno Stato fallito, e fosse davvero possibile trattare con i capi-tribù che si combattono quel territorio o con i trafficanti di morte che torturano i profughi nei lager e poi li imbarcano sulle carrette del mare.

In questi quattro mesi di governo delle tre destre ci siamo ripetuti più volte: attenzione, lei è meglio di loro, cioè dei suoi alleati e dei suoi “camerati”. Dobbiamo ricrederci. Forse non è poi così vero. Per lo meno non sul tema migranti, dove lei è invece uguale a loro. Al punto da isolarsi ancora di più in un’Europa già spappolata di suo, come si è visto al vertice dei ministri degli Interni di giovedì scorso, quando sul tavolo del Consiglio Affari Interni dell’Ue le cancellerie di Germania, Francia, Austria, Belgio e Danimarca hanno recapitato una lettera congiunta contro l’Italia, sotto accusa perché in grado di registrare nel sistema del Trattato di Dublino solo il 10% delle domande dei richiedenti asilo arrivati nel nostro Paese. Per carità, sul dramma migratorio l’Unione è indifendibile quasi quanto noi. E saremmo ingenui a fidarci troppo del sostegno di Ursula von der Leyen, che cerca di comprare a poco prezzo il sostegno dei conservatori europei guidati da Meloni in vista della campagna elettorale del 2024, nella quale la presidente della Commissione si giocherà la riconferma.

Non sottovalutiamo certo l’emergenza e l’urgenza di gestire il fenomeno migratorio, di stabilire regole e di fissare limiti per una buona e giusta integrazione, nel rispetto delle leggi dello Stato e della Costituzione. Non pretendiamo più nulla dalla presidente del Consiglio, perché ormai abbiamo imparato a riconoscere la “matrice” identitaria e politico-culturale e siamo ragionevolmente convinti che non cambierà. Ma non vogliamo più sentire le sue clamorose bugie, come quando asserisce che “siamo il Paese che accoglie di più in Europa”, o che “ha passato ogni singolo giorno di questi ultimi anni a occuparsi di questo problema”. E vorremmo capire meglio cosa intende il sottosegretario Mantovano, quando annuncia “dobbiamo riscrivere la Bossi-Fini”, unica legge d’Occidente che ha introdotto in un ordinamento il reato di “immigrazione clandestina”. Per il resto, avremmo bisogno di attivare davvero corridoi umanitari. Di riconoscere che esiste un diritto universale dell’uomo a migrare. Di accettare il principio che i migranti non siano solo braccia per lavorare o contributi da versare, utili al nostro Welfare devastato dal crollo demografico. Non dimentichiamo la lezione di Primo Levi, quando segnalava “l’infezione latente” che si diffonde “negli animi” allorché individui o popoli comincino a considerare più o meno consapevolmente che “ogni straniero è un nemico”. E ci ricordiamo quella di Liliana Segre, spiegata splendidamente da Daniela Padoan (“La stella polare della Costituzione”, Einaudi): quando l’identità nazionale si fa confine, muro, barriera, produce ancora oggi “guerre, pulizie etniche, cimiteri marini, luoghi di confinamento e masse crescenti di profughi, rifugiati, scartati: la schiuma della Terra”. Vite a perdere, come quei peluche rimasti sull’asfalto a imperitura memoria. A Cutro quella schiuma gonfiava le onde, e noi non l’abbiamo voluta vedere.

LA STAMPA

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