Di cosa parla Everything Everywhere All at Once, il film che ha sbancato gli Oscar

di Paolo Mereghetti

Ecco la recensione del nostro critico sul trionfatore agli Academy Awards

Di cosa parla Everything Everywhere All at Once,  il film che ha sbancato gli Oscar

Una modesta proposta: accompagnare certi film con l’avvertenza «Sconsigliato ai maggiori di…». Non per proibire la visione, ma per avvertire lo spettatore che quel titolo è fatto per un pubblico particolare. Per esempio Everything Everywhere All at Once fin dal titolo (più o meno «Ogni cosa ovunque all’improvviso») dovrebbe far capire che chiede — o forse pretende — uno spettatore «pluritasking», capace di una velocità di reazione mentale e visiva che già dopo i 25 anni potrebbe rivelare qualche falla.

All’inizio tutto sembra svolgersi nella più confortevole normalità: Evelyn Wang (Michelle Yeoh) gestisce una lavanderia automatica da qualche parte negli Usa con l’imbranato marito Waymond (Ke Huy Quan ) mentre si prende cura del vecchio padre Gong Gong (James Hong) e fatica ad accettare il lesbismo della figlia Joy (Stephanie Hsu) che vorrebbe presentare la fidanzata Becky (Tallie Medel) alla festa per il compleanno del nonno. Ma a rovinare questo già periclitante tran tran quotidiano arriva la convocazione dell’addetta delle imposte Deirdre (Jamie Lee Curtis), che contesta le detrazioni che Evelyn vorrebbe presentare.

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Ed ecco che proprio nell’ufficio delle tasse la donna si sente come risucchiata da qualche altra parte: è il richiamo delle dimensioni alternative al mondo quotidiano, quelle — come le spiega un marito anche lui improvvisamente cambiato nel carattere — dove Evelyn non è più una modesta commerciante del cosiddetto «Alphaverso» ma una brillantissima scienziata che ha scoperto come «collegare temporaneamente la sua coscienza con altre versioni di se stessa accedendo a tutte le sue altre memorie».

Già qui la mente paleo-cartesiana di uno spettatore ultratrentenne inizia a vacillare: pensa a «Matrix» e ai suoi due universi, magari arriva fino a «Spider-Man: No Way Home» con il suo triplice multiverso, ognuno però facilmente — si fa per dire — identificabile da uno Spider-Man differente perché interpretato da differenti attori. Qui invece le cose sono subito molto più complicate perché è sempre Michelle Yeoh (indimenticata spadaccina di «La tigre e il dragone») che varia «identità» con la velocità del fulmine, da star del cinema a cuoca, da scienziata ad amante lesbica con strane dita che sembrano würstel. Seguita anche dal marito Waymond che ogni tanto appare sotto altre spoglie. E non finisce qui, perché su tutto incombe la minaccia del misterioso Jobu Tupaki che sembra divertirsi a confondere i vari multiversi per precipitarli nel caos.

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