Assaf Gavron: “La vera Israele è quella in piazza, possiamo ribaltare Netanyahu”

Le ripercussioni di questo Big Bang potrebbero essere molteplici. Prima di tutto potrebbe restringersi il campo dei sostenitori della destra, perché agli elettori non piace ciò che viene fatto a loro nome e non piacciono i ministri estremisti: i sondaggi evidenziano uno spostamento dal Likud ai partiti di centro. Secondo, potrebbero nascere nuove forze. I centristi di Lapid e di Ganz potrebbero allearsi e dare vita al partito più grande. I partiti di sinistra potrebbero ricucire l’errore fatale commesso che ha fatto perdere loro quattro seggi alle ultime elezioni. I partiti arabi, che hanno fatto parte della precedente coalizione per la prima volta nella Storia di Israele, troveranno più facile unirsi a quelle future. Potremmo anche assistere all’ascesa di nuove voci, per esempio un partito religioso di destra “equilibrato”, oppure una nuova partnership arabo-israeliana. Nutro anche la flebile speranza che il gigante sonnolento dell’indignazione liberal-democratica popolare, innescata dal tentativo radicale della destra, alla fine riesca a inaugurare un cambiamento nella stasi sociopolitica di Israele, anche sul fronte palestinese.

Siamo ancora lontani da tutto ciò. I sostenitori della riforma hanno ancora 64 dita dalla loro, rispetto alle 56 dell’opposizione che ha però il sostegno popolare. Il clima è ancora caotico e spaventoso. Se le leggi della riforma saranno approvate, il governò potrà scavalcare i tribunali, nominare giudici, ignorare i consulenti legali e altro ancora. Secondo uno degli scenari possibili, sarà possibile vietare ai partiti arabi di partecipare in futuro alle elezioni, garantendo così il controllo della destra a tempo indefinito. Lo scenario ottimistico che ho descritto prima potrebbe sembrare un po’ improbabile, ma tempi come questi spingono a cose come queste: si cerca di guardare aldilà dello scetticismo e di intravedere una luce. Mentre si combatte la battaglia esistenziale per l’anima di Israele, credo che la nostra democrazia, benché fragile, non sia completamente distruttibile.  Traduzione di Anna Bissanti

LA STAMPA

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