Il nuovo Pd, tra consenso e mandato
La partecipazione e il consenso sono quindi un’arma a doppia lama: perché contengono il senso della speranza residuale e il rifiuto della pratica politica attuale, l’adesione e la repulsione, l’attaccamento e il distacco. In questo senso gli elettori delle primarie hanno votato soprattutto per se stessi, cioè per confermare una loro personale fedeltà a un’idea e a un’identità, anche se non le sentono rappresentate. Poi naturalmente Schlein si è presentata all’incrocio tra questi due sentimenti politici come la figura più pronta a impersonarli entrambi, sommandoli nella promessa di azzardo e di sfida. Ma anche lei, tra gli applausi che ieri hanno salutato l’incoronazione, deve sapere che la sua vittoria è fatta più di un mandato che di un consenso: è la magnifica condanna a cambiare, partendo dalla necessità di interpretare l’identità incompiuta della sinistra di fine secolo, finalmente risolta, non ideologica, europea, occidentale, radicale nei principi, liberale nel metodo.
Conciliare l’unità del partito (senza farsi ricattare dall’eterna minaccia di scissione) con la necessità continua del rinnovamento non è semplice: ma è il ballo che la nuova segretaria deve ballare, ad ogni costo. Insieme con l’impegno a difendere e sviluppare i diritti senza fare soltanto una collezione di minoranze, ma innestandoli sul grande albero di una moderna cultura del lavoro, tenendo insieme l’emancipazione dal bisogno e l’innovazione del sistema: per combattere le ingiustizie soprattutto quando diventano esclusioni, puntando a costruire una forza sociale e non solo politica interessata a un Paese più giusto e più libero, anche dalle sue ossessioni ideologiche tardive. La disumanità mostrata dal governo a Cutro apre addirittura uno squarcio di civiltà alternativa, la civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri: su cui si può sfidare fino in fondo questa destra immemore.
REP.IT
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