Concita De Gregorio: la malattia solo un pezzo di me

Chi ha visto Concita lavorare e vivere in tutti questi mesi sa che è così, o forse un po’ l’ha imparato. «La vita è piena di inciampi, lutti, dolori». «Dolori», ripete. «Morti, separazioni, frustrazioni, abbandoni. Ecco, questo è uno dei dolori che ti succedono. Se ci riesci puoi evitare che si prenda tutto lo spazio».

Non dirlo subito, dirlo dopo, quindi. E non perché sia giusto per tutti, ma perché era giusto per lei. «Il modo, il momento in cui rivelare e se rivelare dipende da ciascuno. Non c’è qualcosa di giusto o sbagliato». Dipende da chi sei. Da come ti senti. «Io ho preferito aspettare che la parte più complicata fosse alle spalle, prima di tutto per proteggere la mia famiglia e in particolare i miei figli. Il minore vive agli antipodi, a dieci ore di fuso orario da qui, e un conto è dirlo a qualcuno che ti guarda negli occhi, un altro è farlo a distanza». A distanza la paura ti prende, perché non lo sai, non lo vedi. «Prima di tutto volevo mettere in sicurezza i figli dando loro un’informazione esatta, ma con il calore, con la presenza. Avevo bisogno di andare da Bernardo e parlare con lui. E dico lui perché gli altri sono qui».

Non c’è solo questo. «E poi avevo il desiderio di sentirmi dritta».

Non voleva raccontare la fatica a fatica in corso. Non voleva uno sguardo di ritorno che le comunicasse comprensione, compassione, paura. Perché altrimenti non ci sarebbe stato più un minuto salvo delle sue giornate. E invece ci sono stati il teatro, il podcast nuovo, la tournée, il progetto di un nuovo giornale, In Onda tutte le settimane. «Se non avessi avuto la forza di farlo non lo avrei fatto, ma tutto questo mi ha sostenuta. Credo di aver attinto la forza dalle cose che facevo. Avere un compito che ti porta fuori da te è – per me – fonte di grande ossigeno, di grande energia».

A un certo punto, è anche partita. «Per andare in tournée con lo spettacolo e per andare a trovare Bernardo ho rimandato la chemioterapia di tre giorni. Sono andata dai medici e ho detto loro: la chemio di sicuro mi fa bene, ma sono sicura che mi farà non so se altrettanto bene, ma di certo molto bene, vedere mio figlio. E quindi troviamo un compromesso tra la fede cieca nella medicina e quello che mi dice il cuore: parlare con il mio bambino, mettere in scena questo spettacolo che amo e che mi fa sentire viva. Tornerò ad affrontare quel che devo, con più forza».

Della sua malattia, di quel male di cui ha detto ora e poi basta, perché «Non è che deve diventare una stagione, un “dicci meglio, dicci di più”», Concita dice: «La porto come un altro porta la morte di un genitore, l’abbandono di un amore, un figlio che ha un problema. La porto come si porta la vita». Che continua, non si ferma. «Poi certo io ci penso tutto il tempo, ma se anche gli altri fossero stati lì a pensarci tutto il tempo, poi di tempo non me ne sarebbe rimasto più».

E adesso? «Adesso che la parte più faticosa e difficile è passata mi restano delle terapie ancora da fare, che penso andranno avanti per molti anni, ma posso dire: è successo questo. E che investire nella sanità pubblica è una priorità assoluta perché quando ti succede un inciampo sei in balìa di chi ti deve curare e se funziona sei vivo, se non funziona chi lo sa».

Non sono tempi per i fragili, come Concita ha scritto su La Stampa l’8 marzo, invitando le ragazze del futuro a non essere per forza eroine, a non credere di dover esserlo a tutti i costi. «E invece siamo tutti estremamente fragili. Ogni tanto – penso – possiamo dirlo. Io ho avuto la fortuna di non fermarmi, ce la facevo, questo mi ha aiutata. Ma come molte persone ho affrontato il male molto tardi perché negli anni del Covid era come se il tempo si fosse fermato, se ci fosse solo quell’emergenza e a quella dovessimo pensare».

Dicono i medici che negli anni in cui il mondo è stato investito dall’emergenza Covid sono saltati moltissimi esami di screening. Dicono le senologhe che moltissime donne erano convinte di aver fatto la mammografia annuale nel 2020 e invece – senza rendersene conto – l’avevano saltata. È successo a Concita e non solo a lei. «La prevenzione ti salva la vita, questo lo sappiamo. Lo ripeto però per chi dice: non voglio controllare perché ho paura di trovare qualcosa». Invece si deve, perché quel qualcosa, se c’è, non diventi tanto forte da travolgerti.

Concita De Gregorio ha lasciato che a sapere fossero solo le persone più vicine, le persone a cui vuole bene, finché si è sentita fragile. «Adesso mi sento di nuovo forte. A chi mi chiede come stai dico: sto molto bene. Davvero molto bene».

LA STAMPA

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