Le duellanti. Botta e risposta tra Elly Schlein e Giorgia Meloni
Annalisa Cuzzocrea
Elly Schlein è un avversario che Giorgia Meloni non sa ancora bene dove colpire. Non la prende di petto, non la schernisce, non trascende nei toni. È come se la stesse ancora studiando. Come se riconoscesse – nella prima leader che si trova di fronte – un oppositore temibile. E per questo, da rispettare.
Il question time dedicato alla presidente del Consiglio è appena finito. L’aula si sta svuotando velocemente. I cronisti sono già quasi tutti usciti dalla tribuna. Elly Schlein rimette gli appunti e il tetrapak con l’acqua nello zaino. Alza lo sguardo, incrocia quello della premier che sta per uscire, le fa un cenno di saluto. Meloni ricambia, esita, torna indietro e le va incontro per una rapida stretta di mano. Chi sperava nel catfighting, nei colpi sotto la cintura, in una riedizione stanca dell’ennesimo Eva contro Eva è stato costretto a riporre la penna nel taschino annotando, magari, «che noia».
Perché è vero, Schlein e Meloni hanno recitato ognuna la sua parte. La prima, la giacca di un rosa talmente chiaro da sembrare bianca, ha interrogato la presidente del Consiglio sul precariato, il lavoro povero, il salario minimo: «Lei lo ha definito uno specchietto per le allodole, vada a dirlo a chi ha salari da fame!». La seconda ha subito attaccato: «Sono felice che il Pd ammetta che il nostro Paese è l’unico in cui negli ultimi 20 anni il salario annuale è diminuito e che è diminuita la quota del Pil dedicata agli stipendi. Chi ha governato finora ha reso più poveri i lavoratori italiani e ora questo governo deve invertire la rotta».
Sbaglia la mira. Perché Schlein non ha fatto parte di quei governi e neanche del Pd che ne è stato protagonista. Perché ha vinto le primarie con un programma di ripensamento radicale proprio sui temi del lavoro, ed è per questo che ha deciso di renderli protagonisti ieri in aula. Per non essere etichettata come la segretaria «dei migranti e dei diritti».
I banchi di destra applaudono furiosi. Meloni continua spiegando che il rischio è che il salario minimo peggiori le cose, che inneschi una gara al ribasso. Qui è il Pd a rumoreggiare. Peppe Provenzano fa un gesto plateale – muovendo le mani giunte avanti e indietro – come per chiedere: «Ma che dice?». Meloni, invece di affondare, tende una mano: sui congedi parentali paritari evocati da Schlein «perché la denatalità è soprattutto una questione di squilibri nel lavoro di cura», la premier dice: «Abbiamo fatto il possibile». E promette: «Sul tema delle madri lavoratrici sono sempre disponibile a confrontarmi e parlare».
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