Credit Suisse spazza via 16 miliardi di bond dei risparmiatori (ma salvaguarda gli azionisti sauditi e del Qatar)
di Federico Fubini
L’immagine che resta del crac di Lehman Brothers sono quei banchieri giù per strada, con i loro cartoni in mano. L’immagine che resterà di questa crisi invece è forse quella di un unico banchiere: Greg Becker, ormai ex amministratore delegato di Silicon Valley Bank, fotografato in short, maglietta e ciabatte infradito alle Hawaii pochi giorni dopo il fallimento della banca che lui doveva dirigere. Lo scoop è del «Daily Mail», subito ripreso dal «New York Post». Naturalmente non c’è niente di illegittimo se Becker, che oggi è disoccupato e alle Hawaii possiede una villa da 3,1 milioni di dollari, decide di rifugiarsi lì per qualche giorno dopo il peggiore dramma della sua vita professionale. Più discutibile è semmai che lui stesso abbia venduto azioni della sua banca per 3,5 milioni di dollari pochi giorni prima di annunciare l’aumento di capitale, per coprire le perdite che avrebbero innescato il crac.
Ma il simbolo dietro l’immagine rimanda, ancora una volta, a una crisi bancaria a due velocità. Ci sono coloro che ne sono in gran parte responsabili, eppure sembrano uscirne sempre ricchi e ben protetti (anche se nel caso di Becker incombe un’inchiesta del Dipartimento di Giustizia americano). Poi ci sono gli altri, quelli esposti alle conseguenze e destinati a pagare il prezzo di errori non loro. È una miscela politicamente esplosiva: in America anche l’ondata di populismo che avrebbe portato Donald Trump alla Casa Bianca parte con i Tea Party, scaturiti dalla crisi bancaria del 2008. Anche stavolta la crisi bancaria si sta già tramutando in un fenomeno a doppia velocità sia in Svizzera, con la svendita di Credit Suisse a Ubs, che negli Stati Uniti. Il cortocircuito in America è in quanto i risparmiatori stanno vedendo in questi giorni: se fallisce una banca come Svb, titani miliardari del venture capital come Marc Andreessen o Peter Thiel hanno i loro depositi da molti milioni garantiti con denaro pubblico fino all’ultimo centesimo; ma se la corsa agli sportelli investe una piccola banca rurale del Midwest, allora un agricoltore locale rischia di vedersi spazzati via tutti i depositi propri e della propria azienda sopra i 250 mila dollari.
Naturalmente esiste una spiegazione logica per questa differenza di trattamento e, nei giorni scorsi, la segretaria al Tesoro Janet Yellen l’ha offerta al Congresso. Nel caso di Svb una decisione delle autorità a Washington ha determinato che tutti i depositanti andavano protetti, anche i miliardari, in nome di una «systemic exception»: non farlo alla Silicon Valley Bank avrebbe avuto conseguenze «sistemiche». Invece migliaia di banche minori, dove si servono clienti minori, non sono «sistemiche» e per loro l’«eccezione» non è prevista. Trump non poteva sognare un’arma più affilata per la sua retorica contro le élite. Il Tesoro, la Federal Reserve e le grandi banche americane hanno lavorato per tutto il weekend per trovare una soluzione per la prossima banca in dissesto, First Republic. Ma il problema è già altrove. L’associazione delle banche «di media grandezza» ha scritto ai regolatori chiedendo che anche i loro depositi siano garantiti per intero con denaro pubblico. Significherebbe assicurare di fatto risparmi liquidi di tutti gli americani, per 19 mila miliardi di dollari. Oggi sembra impossibile, dunque la richiesta cadrà nel vuoto. Ma poiché ormai è pubblica, ci si può solo chiedere come reagiranno da domani decine di migliaia di depositanti nelle banche minori: vorranno portare il loro denaro alle banche «sistemiche», innescando nuove corse agli sportelli e altri dissesti.
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